– È stato così duro averti amato,
così puro nasconder la vergogna
nelle mie nocche dure, nel costato… –
– Tu sei la luce, ed eri la mia gogna,
padre che qui nell’aria ti ritrovo;
sei la frutta più dolce che si sogna… –
– di un ragazzo scappato che ritrovo
a morte fatta, in aria e vento e voce
che s’incontra con te in un maggio nuovo… –
– …ed eri quella frusta che più nuoce
al dolore, che lo fa più penoso,
quando nel buio costringevi atroce… –
– Oh Federigo mio, il tuo nome sposo
nella terra di Pari, che volesti
tua terra, tuo giardino di riposo… –
– il derelitto male che protesti
ai cieli, e bestemmi, ed urli… Rispondi
padre, ora che sono avvinto ai tuoi resti… –
– …coi tuoi resti, sì, figlio, nei profondi
giri della corrispondenza. E sfarsi,
sfarsi tutti nei sentieri che affondi… –
– …Che affondo con le parole, e gli scarsi
suoni lontani da te lontano giungono
alla nostra pietà d’occhi scomparsi;
e i parenti negli occhi mi raggiungono! –
***
– Volerti da lontano! e gli aghi pungono,
d io padre e padre dio per me negli anni,
quando le immagini, le febbri, mungono
a me la vita, e legano gli affanni… –
–
Ti posso ora fratello nominare,
poiché la morte scioglie dagli inganni
d’ogni anagrafe smunta, ed è nel mare
di questi poggi e campi di maremma,
di queste vigne, e pioggie, e vigne amare… –
– Ti posso ora fratello avvicinare,
fratello nell’eterno di un rimpianto
che qui trova silenzio nel suo schianto –
***
Ecco le voci fuse: il padre il figlio.
L’acqua del pozzo li trascina al fondo,
al fondo che ricopre cardo e giglio.
– Terra del padre mio, lontano mondo,
eccomi qui con questo canto solo;
eccomi a Pari, pioppo tondo tondo.
Chi cercavo nell’aria quasi a volo
trovo nel lungo sogno della morte,
nel fungo germinato dentro il suolo.
Nelle pietre scheggiate dalla sorte
t’ho amato, padre con le tue ritorte;
con le funi sganciate da ogni carro
per picchiar la mia tenebra ingemmata,
padre t’ho amato, mio vestito liso,
perduto mio toccar di Paradiso. –