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PIER PAOLO PASOLINI  
Poesia

Il glicine
 

[…]
Rendo ridicola una mia lunga passione
di verità e ragione.
Passione… Sì, perché c’è un cuore antico,
preesistente al pensiero:
e un corpo antico – o fiorente o ferito,
povera vita mia certa davvero
di resistere alla vita informe dei nervi.

Da questo inesprimibile attrito
nasce la mia prima larva di Passione:
tra il corpo e la storia, c’è questa
musicalità che stona,
stupenda, in cui ciò ch’è finito
e ciò che comincia è uguale, e resta
tale nei secoli: dato dell’esistenza.
Il confine tra la storia e l’io
si fende torto come un ebbro abisso
oltre cui talvolta, scisso,
alla deriva, è il glorioso brusio
dell’esistenza sensuale
piena di noi: dinnanzi a questa fisica
miseria non può che ritornare
ogni storico atto irrazionale…
[…]

(da La religione del mio tempo, in Tutte le poesie)

Traccia critica

Oltre ventimila pagine, in poco più di trent’anni di attività.
Dai lustri bolognesi e poi friulani, fino ai controversi anni Settanta, Pasolini percorre l’ebbro abisso di una ricerca compulsiva: quella di una parola poetica che sappia raccontare reale e personale, sottraendoli alla provvisorietà e cantandone l’incanto con l’assolutezza del Verbo.
La lingua poetica in Pasolini si fa strumento di una passione ideologica inesausta: non è solo testo ma qualcosa che lo trascende. Da bulimico consumatore di spunti, piega le forme della poesia a proteiformi cimenti. Ardua risulta dunque una separazione di stili e forme espressive per un pensiero globale come quello pasoliniano.
L’opera di Pier Paolo Pasolini è una performance ininterrotta che non teme di trasgredire e non cela il suo protagonista. Pasolini non si limita ad un’idea immutevole di poesia ma, pur variandola, non smette di interpretarla attivamente: se nel primo Pasolini le parole sono azioni in se stesse in quanto segni fatti musica, l’ultimo Pasolini ne fa documenti essenziali dell’azione.
Il poeta Pasolini esiste dunque compiutamente nell’intellettuale Pasolini, che lascia sconfinare il pensiero nelle limitrofe regioni dell’estetica. Anche l’esperienza di presunta regressione degli anni friulani altro non rappresenta che una premessa del discorso ideologico romano: dal mythos al logos.
Del resto, proprio la questione «dialetto-lingua» che animava gli anni di Casarsa, si ripropone iper-strutturata nel tempo romano di Pasolini, con la difesa e la celebrazione della componente sacrale che la realtà custodisce, e che la lingua della realtà, dei parlanti, riproduce. Il mito dell’incoscienza, della povertà e del peccato, ispirati dalle esistenze più che reali dei ragazzi romani, soppianta il topos narrativo dell’agreste gioventù friulana, mentre un temperamento aspramente militante inizia ad impregnare la scrittura di Pasolini: lo stile, in quanto momento epifanico dell’arte, assolve così una funzione segretamente ideologica.
E anche quando, nei tardi anni Sessanta, realizza l’inconsolabile certezza dell’inutilità della scrittura, Pasolini non smette di interrogarsi ideologicamente sul suo senso e di attaccarne le regole fino ad accettare che la scrittura non miri ad altro che a qualcosa di scritto: si affida dunque ad opere riempibili all’infinito, incompiute e interminabili, delle quali egli è demiurgo sempre vigile ed attivo. Un’arte libera dai circuiti epigonali dell’industria culturale, ma imprevedibile e sempre capace di riaprire il gioco.
Nei suoi trent’anni di eclettica, ininterrotta espressione creativa, la cangiante tensione ideologica di Pasolini ha sempre covato una vocazione da pedagogo e da leader: a partire dalle stagioni della scuola di Valvasone, dai versi di quegli anni e dai successivi, per continuare nella corrispondenza privata e pubblica, fino alle tarde pagine di critica militante. Ma la refrattarietà e la ripugnanza mai edulcorata per la politica mantengono le sue pagine sempre al di fuori di ogni militanza etichettabile.
Ciò che attiva e stimola Pasolini è piuttosto il quotidiano, la vita comune. In questi casi il «corsaro» si fa tagliente e lucido, il poeta canta con verso espressivo, pregnante e incendiario: «Nel restare / dentro l’inferno con marmorea / volontà di capirlo, è da cercare / la salvezza».(da Picasso, in Le ceneri di Gramsci). (Maria Sabrina Titone)


Bibliografia


L’opera di P.P. Pasolini è oggi consultabile, nella sua interezza, nelle edizioni dei «Meridiani» Mondadori, a cura di W. Siti e S. de Laude: Tutte le poesie, 2003; Per il cinema, 2001; Teatro, 2001; Saggi sulla letteratura e sull’arte, 1999; Saggi sulla politica e sulla società, 1999; Romanzi e racconti, 1998.
Poesie scelte, antologia a cura di N. Naldini e F. Zambon, Milano, TEA, 1997.
Poesie. Con CD-Audio, letture di S. Lombardi, Milano, Garzanti, 2001.
G. Ferretti, L’universo orrendo, Roma, Editori Riuniti, 1976.
E. Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Rizzoli, 1978 (poi Firenze, Giunti, 1995).
M. Marchi, Descrizioni di descrizioni. Il saggismo poetico dell’ultimo Pasolini, in Palazzeschi e altri sondaggi, Firenze, Le Lettere, 1996.
M.A. Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Milano, Bruno Mondadori, 1998.
G. Jori, Pasolini, Torino, Einaudi, 2001.
F. Vighi, Le ragioni dell’altro. La formazione intellettuale di Pasolini tra saggistica, letteratura e cinema, Ravenna, Longo, 2002.

 

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