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GIUSEPPE UNGARETTI  
Poesia

Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
 

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

(da L’Allegria, in Vita d’un uomo. Tutte le poesie)

Traccia critica

Giuseppe Ungaretti e L’Allegria: un poeta e il suo «diario lirico» del tempo di guerra, un testo capitale nella storia della poesia italiana del Novecento, che testimonia in maniera esemplare l’inscindibilità di poesia e vita vissuta.
Per Ungaretti l’ingresso, brutale, traumatico, nella Storia inaugura la stagione esistenziale e poetica riassuntivamente intitolata alla Vita d’un uomo. Per lui, uomo venuto dal deserto senza avere conosciuto una patria, senza sapere bene quale sia il paese – l’Italia avita, la Francia dei poeti amati - verso cui è diretta la sua «nostalgia», l’esperienza bellica al fronte degli anni 1915-18 coincide con la mèta agognata del pieno riconoscimento di sé, della sua identità di poeta e di italiano. Lo dichiarano splendidamente, contestualizzando gli esiti di una ricerca, i suoi Fiumi di ieri e di oggi («Questi sono / i miei fiumi», «Questo è il Serchio», «Questo è il Nilo», «Questa è la Senna», «Questi sono i miei fiumi / contati nell’Isonzo»).
Solo nel tempo presente, assurdo e atroce, della vita di trincea, proprio quando la facoltà di dire appare inaudita e impossibile, la parola si scopre «parola originale»: quella che tutto nomina, «il mondo l’umanità / la propria vita», e per mezzo della quale ogni cosa esiste e significa. Per il poeta viator, che in una lettera a Papini del luglio 1916 si definisce «immaginario perseguitato in esodo verso una terra promessa», conta fin d’ora che il viaggio ci sia, dentro e attraverso la scrittura poetica, a indicargli il passaggio per un «paese / innocente».
Sul Carso e poi sul fronte francese, a Locvizza, Mariano, Cima Quattro, Versa, Quota Centoquarantuno, Valloncello dell’Albero Isolato, Bosco di Courton, il fante Ungaretti porta con sé i propri miti ossessivi: dispersi frammenti di una sua biografia suscettibile di ricomporsi nella biologia di un poeta che di sé dice: Sono una creatura; un poeta disposto a perdersi e a ritrovarsi in paesaggi disanimati, a fraternizzare con pietre e rovine potendo essere insieme lì e altrove.
Il miraggio egiziano e poi Parigi, con il miraggio della letteratura e dell’arte, riflettono adesso un nuovo scenario, della testimonianza e della partecipazione all’insegna dell’immediatezza e dell’essenzialità. La volontà di poesia risorge dalle macerie, risponde e presta soccorso alla ungarettiana «volontà di vivere nonostante tutto». È la metamorfosi dell’Ungaretti protostorico, crepuscolare e futurista, sonnambolico e ironico-incendiario, nella fenomenologia del poeta soldato: non «un soldato (…) che fece il poeta«, come osserverà anni dopo Umberto Saba, ma «un poeta che fece la guerra».
Esule tra esuli all’inferno del Carso, l’«Ungaretti / uomo di pena» individua nella drammaticità di una vicenda personale e collettiva l’ubi consistam del suo mandato poetico, la cifra della propria appartenenza ad un popolo, alle sue tradizioni, alla sua lingua. Trovarsi da poeta dentro gli orrori della guerra, quella guerra pure creduta necessaria, valutata improrogabile nell’illusione, condivisa dai più, di poter dire fine a tutte le guerre, impone di «vivere nella contraddizione», con il coraggio e la libertà concessi alla poesia come un privilegio infallibile e inalterabile.
«Nella mia poesia – commenta Ungaretti – non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, c’è esaltazione, nel Porto Sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione«.
Nel «porto sepolto», luminoso ed infero, che custodisce il mistero insondabile della poesia, tutto insomma, e il contrario di tutto può accadere e accade. Ci si può sentire stranieri staccati per sempre dalla vita, eppure mai come allora, prima di allora tanto attaccati alla vita, con la certezza di avercela fatta. La «parola / scavata», nella vita e nella scrittura, «come un abisso», rivela al poeta se stesso; lo riporta alla coscienza della sua «allegria» come unico orizzonte di salvezza, mentre il viaggio faticosamente ma senza indugio riprende, verso quel punto di fuga in cui solo è speranza d’approdo.
Una «vita d’un uomo» ancora in gran parte da scrivere o da riscrivere (ma già profilatasi nelle sue istanze germinative e fondanti) subito si fa libro, opera aperta; un libro costantemente aggiornabile, nelle cui pagine a venire il mito avantestuale dell’innocenza ed il recupero della memoria delineano complicità non sospette in seno ad una ritrovata capacità di canto.
Così, anche dopo il naufragio delle ideologie, dopo l’esperienza intima e straziante del Dolore e l’altra, analogamente partecipabile della conversione religiosa, la poesia ungarettiana manterrà la sua capacità di attraversamento della Storia fedele alla sua chiamata originaria: sempre a ridirsi, a risillabarsi la parola «vita». (Nicoletta Mainardi)


Bibliografia


G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1969.
Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono e L. Rebay, Milano, Mondadori,1974.
Poesie e prose liriche, 1915-1920, a cura di C. Maggi Romano e M.A. Terzoli, introduzione di D. De Robertis, Milano, Mondadori, 1989.
Per conoscere Ungaretti, antologia a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1971.
G. Luti, Invito alla lettura di Ungaretti, Milano, Mursia, 1974.
P.V. Mengaldo, Giuseppe Ungaretti, in Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
C. Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia, 1975 e 1982.
M. Marchi, Ungaretti e l’innocenza, in Pietre di paragone, Firenze, Vallecchi, 1991.
M. Barenghi, Ungaretti: un ritratto e cinque studi, Modena, Mucchi, 1999.
A. Cortellessa, Ungaretti, Torino, Einaudi, 2000.

 

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