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  Voci della memoria
 
Coniugi Alvaro e Amneris Pecciarini
 

Alla memoria di Lionello Firenzani

Abbiamo tanti ricordi del periodo dello sfollamento e del famoso 23 luglio 1944 che segnò una tappa importante della vita di noi castellani. E' bene che esca questo libro.
Ma, al di sopra di tutto, ci piace ricordare un amico fraterno: Lionello Firenzani, ucciso vigliaccamente da un soldato tedesco il 21 luglio 1944, cioè due giorni prima che Castelfiorentino fosse liberata dagli Alleati. Ci piace ricordarlo a tutti anche perchè era un'ottima persona e, per di più, era fidanzato con la nostra cugina Dina.
Quindi, purtroppo, nessuno conosce meglio di noi come si svolse il fatto.
Wallis Lettori è venuto a trovarci e ci ha pregato di raccontare, per filo e per segno, la triste tragedia di Lionello.
Per noi è stato un rinnovare il dolore, ma lo abbiamo fatto volentieri perché così da oggi tutti conosceranno veramente quella grande tragedia.
Noi eravamo sfollati in Vallese e lì, insieme a tanti altri, avevamo fatto un bel rifugio. Era a forma di ferro di cavallo, quindi con due ingressi, nel bosco della fattoria di Coiano. Per andarci, noi uomini avevamo fatto più di cinquanta scalini nel tufo. Era disagevole salire fin lassù, specialmente per le persone anziane, ma allora non si guardava tanto per il sottile. Ecco la vera storia.
Il 20 luglio 1944 si vide arrivare un gruppetto di neozelandesi. Eravamo pazzi di gioia. Ma all'improvviso, forse per un ordine ricevuto, non si videro più, sparirono del tutto. Così, la nostra zona diventò terra di nessuno per due giorni. Furono i due giorni più drammatici della nostra vita.
Non vedendo in giro nessun soldato, in sette uomini si partì dal rifugio per rientrare nella nostra casa. Fra noi c'era anche Lionello Firenzani e il mio babbo. Le case di tutti noi erano nella zona della Steccaia.
Virgilio Chiarugi, detto il Moro, padre di Amneris, ci disse: «Non ci andate: è pericoloso, ci può essere ancora in giro per la campagna qualche tedesco. Non ci andate». Lionello, sempre pieno di coraggio, gli rispose: «Tu sei un pauroso. Resta pure qui. Noi andiamo».
E così si partì. Non si vedeva un'anima viva in giro. Si passò dalla Dogana e si vide un gruppetto di persone nella strada. Subito gli si disse se c'erano ancora i tedeschi e loro ci assicurarono che ormai era terra di nessuno.
Allora noi si attraversò l'Elsa e ci si portò sulla destra del fiume. Ci si avvicinava alle nostre case. Ad un certo punto si passò da una stradina stretta. Qui si videro delle impronte di scarpa dei soldati tedeschi e un po' ci si impaurì. Poi piano piano, strada facendo, ognuno andò verso la sua casa. Quando io e il mio babbo si arrivò alla nostra casa, si vide che la porta era stata abbattuta. Si entrò, ma non era stato portato via nulla: per forza, non c'era rimasto più nulla perché si era portato via tutto. Il mio babbo e io si aveva una fame in corpo da morire. Lui si fece coraggio e andò da un amico alle Tinaie, dove ora c'è il campo da tennis, per chiedergli se aveva qualcosa da mangiare. Tornò con un pezzo di pane e della frutta. Dopo si disse di andare tutti e due alle Tinaie e ci si arrivò. Qui gli uomini si nascondevano dentro il tino per non farsi prendere dai tedeschi.
Intanto, Lionello aveva raccolto un paniere di frutta e aveva preso la via del ritorno per rientrare al rifugio di Vallese. A questo punto io dovevo andare con lui. Se lo avessi fatto, sarei stato ammazzato anch'io.
Da ora in poi si persero le sue tracce. E quando si seppe della sua fine, si pianse. Infatti, dopo una mezz'ora, eccoti, trafelato e sconvolto, alle Tinaie Emilio Lepri. Ci disse che i tedeschi avevano sparato a Firenzani. Noi si andò di corsa alla casa di Gabriello Pertici dove, ferito a morte, era riuscito ad arrivare. Era sul letto, con il segno di una pallottola esplosiva che gli era entrata dalla schiena e gli era esplosa al petto; aveva attraversato tutto il torace. Lui smaniava, non riusciva a stare fermo, ma era ancora cosciente.
Furono cercati dei dottori, ma non si riuscì a trovare nessuno. Lionello fu assistito anche da Umberto Tavolari, idraulico, che lo fasciò un po' alla meglio. Il mio babbo lo aiutò nell'impresa. Lionello era ancora cosciente e con un filo di voce e un leggero rantolo ci spiegò il fatto.
Disse che un soldato tedesco, che era insieme ad altri militari, lo fermò e volle sapere dove andava. Lui rispose che andava dalla sua famiglia. Il tedesco gli fece cenno di passare, ma quando fu distante qualche metro, gli sparò alle spalle. Poi, con una vocina che si perdeva piano piano, disse che voleva vedere Dina.
Noi uomini non potevamo andare ad avvertirla perché era pericoloso. Allora in Vallese ci andò Ester Pertici. Subito Dina corse da lui, ma quando arrivò, il fidanzato stava spirando. Ormai aveva perduto conoscenza e non la riconobbe. Si può immaginare la disperazione della donna; a pensarci ci vengono i brividi a tutti e due.
Erano passate quattro o cinque ore dal colpo sparato. Intanto, arrivò una pattuglia di soldati tedeschi che si piazzarono intorno alla casa.
Però il tedesco che aveva sparato entrò in camera, salutò Lionello con il saluto militare. Lionello ebbe un momento di lucidità e gli sussurrò: «Tirami un colpo qui (e si toccò la fronte) così finisco di patire». Il tedesco non aprì bocca.
La pattuglia tedesca venne in casa. Ci contarono e uno ci disse: «Nessuno si muova di qui. Guai a chi si sposta. Domani io venire a ricontarvi». Era chiaro che fu un gesto di paura: temeva che qualcuno di noi raccontasse tutto ai partigiani o chissà a chi e poi nascesse una guerriglia.
Un soldato si avvicinò a me e mi disse: «Lui cattivo camerata, ha ucciso undici civili». Mi si gelò il sangue nelle vene. Ma ormai capivamo che non c'era più nulla da fare. Poi i soldati andarono via, ma il danno lo avevano già fatto. Firenzani era finito in un lago di sangue.
I tedeschi, prima di scappare, ci dettero il permesso di uscire e fare la cassa da morto. Fra tutti si cercò delle tavole e si fece. Poi si scavò una buca molto profonda e ci si calò.
Ma gli Alleati si avvicinavano.
Per tornare un passo indietro, diciamo che furono subito avvertiti i genitori di Lionello, ma dapprima non gli fu detto che era morto. nessuno aveva il coraggio di dirglielo. Poi, piano piano, gli fu fatto capire lungo la strada. Che scena straziante quando arrivarono! Non si può descrivere con le parole.
Dopo questo fatto, la mia famiglia (di Amneris) andò alla Rocca, sotto Montaione, sul versante che guarda Castello. Il mio babbo (della signora) andò subito a Sindedica a prendere un po' di frutta per i campi. Si moriva di fame anche noi.
Ricordiamo che i castellani furono addolorati quando vennero a sapere di un fatto così malvagio.
La bara restò sotto terra una trentina di giorni. Poi si ebbe dal Comune il permesso di levarla e sistemare il defunto in una bara normale. Gli fu fatto il funerale. Quanta gente c'era! Diciamo che c'era mezzo paese. Lungo il percorso si passò da un gruppo di soldati americani della contraerea. Si alzarono tutti in piedi e, sull'attenti, fecero il saluto militare.
Fu sepolto nel cimitero della Misericordia e prima di essere deposto nella tomba fu salutato con il pugno chiuso della mano in alto. Poi tutti andarono dai genitori a dirgli una parola di conforto.
Era morto un uomo onesto che nella vita aveva fatto solo del bene. A noi ci era scomparso un fratello. Aveva un cuore grande come il mondo. Era sempre disponibile per aiutare gli altri. Ma quello che più ci fa star male è perché fu ucciso. Perché quel tedesco lo volle colpire? Lionello Firenzani non era né un partigiano armato né un civile che combatteva contro l'esercito tedesco. Era solo una persona che aspettava la fine della guerra come la maggior parte di noi; un gran bravo uomo che si era nascosto per non farsi prendere dagli invasori. Se quel tedesco, con tutti quei morti che aveva sulla coscienza, sarà scampato alla morte, avrà mai vissuto lo strazio di un gran pentimento? Non ci sarà mai perdono per gente come lui.