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  Voci della poesia
 
Massimo Gezzi
   
Inferno in quattro soliloqui

Uno

«Inferno perché
la nostra morte è già avvenuta, ci guardiamo
nel fermo immagine definitivo,
ai tavoli di cucina a benedirci
le inquietudini, il bisogno di contatti
e di calore, di parole che speriamo
sotto il cumulo nascondano
un bagliore di vero, se ancora
esistiamo».

Due

«Inferno perché
il dialogo non viene, non ricordo
cosa dire nel caso del dolore,
forse non ho proprio
presente il dolore, la carne
non brucia, la pelle si distende
sul volto come un velo».

Tre

«Inferno perché
neppure le grida dei venditori
ambulanti riescono a impedire
che dopo si riformi un silenzio,
magari di notte, oppure dentro
la coscienza di ognuno, o il simulacro
che ne resta».
 

Quattro

«Inferno perché
da qualche tempo mi sveglio e mi ricordo
soltanto di un volto: lo guardo
allo specchio, lo lavo, lo aggiusto -
lo porto a passeggio
placidamente nel buio del bosco».
 

a Francesca S.

Fuori dal finestrino del treno
c'è quel fiume - non sappiamo
quale fiume, io e Francesca:
ci chiediamo cautamente
se è il Po che scorre
sotto il ponte di ferro nei pressi di Fidenza,
più o meno, in direzione di Cremona -
"È il fiume più grande d'Italia,
è il Po", trasale un'attenta
compagna di viaggio:
mi piace come ride Francesca
di rimando - ha l'aria
di averlo conosciuto da sempre
quel nome, di dire: "Che importa, guarda l'acqua
come fila, come scattano gli uccelli
annidati fra le canne al passaggio
dei vagoni, come tutto procede
in una sola direzione: il Po verso il mare,
tu verso il nord, io qui di fronte
verso te, verso il vento".

(da: Il mare a destra , Edizioni Atelier 2004)

Nella terra si leggono moltissime
vicende, mi accorgo mentre faccio
un sentiero di campagna che non avevo
più percorso: i tronchi segati al pari
del terreno resistono per secoli;
qualche volta riaffiora un oggetto
che pare extraterrestre, tanta è la distanza
che lo separa dal presente. Un giorno per esempio
ho trovato nel piccolo giardino
antistante la mia casa una macchina
per cucire in miniatura, ciarpame o giocattolo,
nera e scrostata ma del tutto
conservata, che a pulirla avrebbe dato
un'eleganza demodé ad un mobile
antico. Più di rado si rinvengono
coriandoli di carta, a volte di giornali pornografici,
altre di firme e scritture impronunciabili,
slavati dalle bave o rifilati
da chissà che mandibola paziente. Io so anche dire
dove sono tumulati i miei due cani, bianchi
e poderosi, seppelliti da mio padre
dopo anni di passeggi serali
e di carezze. Chissà cosa resiste, adesso,
di quei corpi, se i lunghi filamenti
del pelo o le zanne dei canini, oppure se è come
se non fossero affatto transitati
in quella terra, stinti del tutto, divorati da insetti
che magari avrò schiacciato senza troppa
attenzione, non capendo che nel cric
di quegli scheletri echeggiava il guaito
familiare dei miei cani, la saliva che lasciava
minuscoli globi più scuri sul cemento,
brevi costellazioni evaporate
in un secondo, subito sparite in altre forme
anche loro.

(inedita - Premio Spallicci 2004)
 

Massimo Gezzi è nato nel 1976 a Sant'Elpidio a Mare (AP). Laureatosi a Bologna con una tesi su Bartolo Cattafi (Premio Montale 2002), attualmente sta ultimando un dottorato di ricerca presso l'Università di Pavia. Collabora con diverse riviste letterarie. Come poeta ha pubblicato Il mare a destra (Atelier 2004). Ha tradotto dall'inglese (S. Morrissey) e dal francese (Aragon, nell'ambito dell'antologia I surrealisti francesi , Stampa Alternativa 2004). Per campare fa il libraio.