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Son proprio contenta di partecipare alla stesura di questo libro scritto da veri castellani sulla storia della nostra città. Siamo tutta gente che ha avuto sulle proprie spalle gli avvenimenti che ora siamo qui a descrivere. Se li ricordiamo a distanza di tanti anni vuol dire che sono proprio incancellabili. Forse qualche giovane che ci leggerà, farà quasi fatica a credere a tutto quello che abbiamo raccontato, ma la verità è questa, tutta sincera dall'inizio alla fine. Per ricordarsi di tutto quello che succedeva allora, bisogna fare un bello sforzo di memoria, ma poi tutto è ripassato nella mente e nel cuore. Quando scoppiò la guerra, noi si stava in piazza del Popolo. Dapprima, la vita era tranquilla, ma il brutto venne dopo il primo bombardamento. Le sirene dell'allarme incominciarono a farci paura ma dopo il primo bombardamento si capì che era quasi inutile andare per le campagne perché gli americani sganciavano bombe dappertutto. E allora non rimaneva altro che sfollare. Che miseria e che fame si aveva! Si andava nei campi a cercare l'erba buona da mangiare. Il mio fratello Roberto andava dai contadini a cercare qualche fetta di pane. Anche io andavo qualche volta a bussare alle porte. Ricordo che trovai una buona signora che stava sul piazzale e mi faceva coraggio, dicendomi: «Vieni, vieni pure quando hai bisogno. Ti darò il pane e anche una piccola mela». Oggi sembrano favole. La mia mamma nel mese di giugno faceva il cosiddetto «ruscolo». Andava cioè nei campi dove i contadini avevano segato il grano e cercava qua e là le spighe che non erano state raccolte. Poi a casa levava i chicchi di grano e quando ne aveva fatto un sacchetto, lo portava a macinare al mulino. Per qualche giorno non si sentiva più i morsi della fame. Poi arrivarono i primi bombardamenti e noi si sfollò nei Rimorti, nella casa del Bastianoni, vicino alla casa dove era sfollato Nello Gilardetti. E qui ho vissuto sette mesi nella paura, nella fame più nera, nel freddo. Ora mi piace raccontare qualche episodio che ci capitò.
Primo episodio
I tedeschi trovarono in quella zona un loro soldato morto. Noi non si seppe mai chi fosse stato il colpevole. Può darsi che ce lo avesse scaricato una macchina che passava di lì. Subito i tedeschi vennero a perlustrare la zona, credendo che ci fossero i partigiani. Incominciarono a mitragliare contro le nostre case, urlando a più non posso. Noi si scappò tutti in un campo di granturco con una paura tremenda. I tedeschi ci videro entrare e incominciarono a spararci contro. Ma non entrarono nel campo: sicuramente avevano paura che ci fossero nascosti i partigiani. Con le mitragliette spararono a più non posso e per pura fortuna non ci colpirono. Intanto il mio babbo tornava dal lavoro ed era insieme a Nello Gilardetti. Appena i soldati li videro, li rincorsero su una collinetta. Il mio babbo fece un salto e si gettò in un fosso pieno di rovi e spine. Il Gilardetti lo presero. Volevano sapere da lui dove erano i partigiani. Lui non aprì bocca e così i tedeschi lo riempirono di botte e lo rilasciarono.
Secondo episodio
Una notte eravamo tutti a letto, quando si sentì bussare forte alla porta. Erano una quindicina di soldati tedeschi che volevano dormire nei nostri letti. C'era poco da fare, tanto più che erano delle SS e tutto gli era permesso. Noi si dovette abbandonare la casa e ci si rifugiò in una capanna dove dormivano altri sfollati. Un po' alla meglio ci si buttò tra la paglia e il fieno. Quei tedeschi si trattennero nella nostra casa per qualche giorno. Quando andarono via, caricarono le materasse e ci presero un piccolo salvadenaro con pochi spiccioli. Però devo dire che non dettero noia a nessuno. Anzi, uno mi fece anche una fotografia perché diceva che assomigliavo alla sua figliola. La mia mamma però voleva recuperare i materassi. Vide dove erano andati i soldati, gli andò dietro e quando ripartirono, entrò in quella casa, se le riprese, le caricò sulle spalle e le riportò a casa.
Terzo episodio
La fame continuava. Senza sosta. Da un po' di tempo un gatto gironzolava intorno alla casa. Aveva di certo fame anche lui. Un giorno, i miei genitori ci dissero che lo volevano far fuori e mangiarlo. Ma non trovarono nessuno disposto a mangiarlo. Loro decisero lo stesso di mangiarlo. Non si seppe in che modo lo ammazzarono, lo spellarono, lo fecero a pezzetti, lo cucinarono e se lo mangiarono con grande appetito. A me rivolta lo stomaco anche ora che ci penso. Loro dissero però che era buono, ma gatti in giro non se ne videro più.
Quarto episodio
Un furto, di cui però non mi sono mai pentita, fui quasi obbligata a farlo. Avevo fame. Un etto e mezzo di pane al giorno che la tessera ci passava mi faceva vento. I Bastianoni erano bravi e spesso ci davano un pezzo di pane bianco, buono, odoroso. Ma non sempre potevano aiutarci. Un giorno la massaia, di nome Zelinda, fece il pane come ogni settimana; io sentivo il profumo da lontano. Una volta tagliato a fette, lo sistemò nella «madia», un nome che per fortuna oggi non si usa più. Allora io, quando in casa non c'era nessuno, aprii la madia e ne rubai una bella fetta. Poi andai a nascondermi fuori per mangiarlo in santa pace. So che sbagliai, ma non me ne sono mai pentita.
Finalmente, dopo tanto aspettare, arrivarono gli americani. Che felicità! Eravamo tutti in vita e la nostra casa non era stata bombardata. Dopo un paio di settimane si rientrò. Sembra strano, ma in mezzo a tutte quelle macerie tutto ci sembrava più bello. Non c'era l'acqua, non c'era luce, ma ci si stava bene lo stesso. La nostra casa, il nostro letto, la nostra cucina, anche se non c'erano molte cose da mettere in tavola. Ma si ricominciava a vivere e per di più da gente libera, in piena democrazia. «Dalla guerra alla libertà», dice il titolo del libro. Benissimo. Avevamo ancora tanta fame, ma il 24 luglio 1944 si diventò esseri liberi, dopo venti anni di dittatura. Ora non c'era più il partito unico e non c'era più la maestra Nidiaci che voleva per forza che i miei genitori mi comprassero la montura da piccola italiana. E insisteva, insisteva tutti i giorni. Da ultimo la mia mamma mi disse: «Quando te lo ridice, tu gli devi rispondere: «La mia mamma ha detto che se aveva i soldi per farmela, mi faceva un bel vestito che mi manca». Il giorno dopo la Nidiaci mi fece il solito discorso su questa montura. Io, a muso duro, le dissi quello che mi aveva detto la mia mamma. Da quel giorno lei non mi rammentò più quella famosa montura. Riprendendo il discorso, in casa l'acqua tornò abbastanza presto, ma la luce bisognò aspettarla fino all'inizio dell'autunno. Fino a quel punto si prendeva una candela e si fissava sulla bocca di una bottiglia perchè facesse luce a tutti quelli che erano a tavola. Ora eravamo in libertà e democrazia. Si aprì davanti a noi un largo ventaglio di partiti e di sindacati. La dittatura non esisteva più e l'Italia, dalla Sicilia alla Toscana, era già liberata. Si avvicinava il giorno che tutta la penisola fosse liberata. Riprendevamo, un po' alla volta, quasi tutte le attività. Le piccole fabbriche riaprivano; negozi e botteghe facevano altrettanto, anche se la merce da vendere era ancora poca e quattrini anche meno. Io tornai a scuola, ma contenta di rivedere i miei vecchi compagni. Noi donne si ottenne il voto per la prima volta nella storia italiana. Purtroppo il mio babbo non rientrò subito al lavoro perché la fabbrica era stata colpita dalle bombe. Ricordo che io facevo il giro di tutti i fruttivendoli e chiedevo la frutta «punta» cioè che iniziava a marcire. Anche quella riempiva lo stomaco. Finalmente, noi giovani si vide per la prima volta la festa del Primo Maggio. Quanta gente! Si partiva dal piazzale a migliaia fino ai Praticelli. Oggi il mondo è cambiato e anche quella festa è quasi sparita. Piano piano sono rimasta delusa da questo stato di cose. Ho visto fallire il mio ideale. La gente non si occupa più di politica. Sembra stanca di questa democrazia. Tutti si sono ritirati in casa e ognuno pensa per consto suo. Ci si voleva bene l'uno con l'altro e ci si aiutava in tutto. Oggi abbiamo quanche soldo, ma non siamo felici come quando eravamo poveri e avevamo un motivo per lottare e migliorare la nostra posizione. La gente non ha più ideali, i giovani non si interessano più di cose importanti e questo è un male. Sono nati in piena libertà e democrazia. Non hanno sofferto come abbiamo fatto noi per conquistarle. Ma pensiamo a tutti quei giovani, italiani e alleati, che sono morti per questa causa. Gli americani non ci hanno portato solo scatolette, cioccolata, chewing gum, pane bianco, ma ci hanno portato la democrazia e il nostro compito è quello di difenderla a tutti i costi. E poi ci sono troppe guerre ancora nel mondo. Vediamo che ogni tanto salta fuori un folle pazzo che ci rende la vita difficile.
(da W. Lettori, Castelfiorentino, 23 luglio 1944. Dalla Guerra alla Libertà , testi di Antonio Agostini, Franca Arzilli in Voli, Dino Assunti, Maria Paola Assunti, Valerio Bagnoli, Giuliano Baldeschi, Roberto Balestri, Primetta Berti in Casarotti, Antonio Betti, Nedo Betti, Anna Bucalossi in Cioni, Remo Bucalossi, Omar Pietro Burroni, Paolo Burroni, Sidonia Calvani in Mezzetti, Renzo Pilade Campigli, Sonia Capocchini in Parenti, Leonetto Castaldi, Remo Cecchelli, Pier Aldo Chiarugi, Paolo Cianetti, Pier Luigi Ciappi, Mario Cioni, Luigi Fontanelli, Giovanni Frediani, Gianfranco Gambelli, Elbano Gelli, Mario Gilardetti, Alina Giomi ved. Orlandini, Marcello Isolani, Giovanni Lazzeretti, Mauro Lensi, Wallis Lettori, Vittoria Lorini ved. Giuntini, Maralva (pseudonimo), Arnaldo Marchi, Mauro Montanelli, Mario Morelli, Daniele Neri, Norma Panchetti, Paolo Panzani, Mario Paoli, Remo Parri, Alvaro e Amneris Pecciarini, Sergio Petri, Giuliano Pieri, Leda (Velleda) Polidori in Lo Re, Amato Pucci, Lelia Puccioni in Dani, Alvaro Reali, Luigina Rigacci ved. Spinelli, Mina Salvadori ved. Burgassi, Nella Salvadori ved. Lami, Valdo Salvestrini, Mario Scardigli, Arduina Soldani ved. Barnini, Masca Spinelli ved. Alderotti, Verdiana Tafi in Malatesti, Vieri Tafi, Italo Tamburini, Amulio Trocchi, Varisa Volterrani in Cantini). |