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Anno 2007
  Arturo Loria
 
Bibliografia essenziale
 


Racconti di Arturo Loria

Memorie di fatti inventati. Racconti editi e inediti, a cura di F. Celli Olivagnoli, Firenze, Ponte alle Grazie, 1989.
La scuola di ballo, a cura di R. Carbone, Palermo, Sellerio, 1989.
Il falco, l’aquila, a cura di M. Marchi, Siena, Edizioni di Barbablù, 1992.
Il cieco e la Bellona, a cura di L. Baldacci, Firenze, Giunti, 1996.
Fannias Ventosca, a cura di L. Baldacci, Firenze, Giunti, 1997.
Il compagno dormente, a cura di L. Baldacci, Firenze, Giunti, 1998.

Studi su Arturo Loria

F. Celli Olivagnoli, Avventure personali. Biografia di Arturo Loria attraverso gli scritti, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990.
Arturo Loria. Mostra di documenti, Catalogo della mostra, Carpi 8-31 maggio 1992, a cura di M. Marchi, con la collaborazione di S. Loria e L. Melosi, Casalecchio di Reno (Bologna), Grafis, 1992.
L’opera di Arturo Loria, Atti del convegno, Firenze 21-23 febbraio 1991, a cura di R. Guerricchio, Impruneta (Firenze), Festina Lente, 1993 (interventi di L. Baldacci, R. Guerricchio, E. Pellegrini, M. Marchi, G. Tellini, R. Scrivano, L. Lapini, G: Gramigna, A. Biondi, M. David, F. Celli Olivagnoli e G. Manghetti).
La zona dolente. Studi su Arturo Loria, Atti del convegno, Carpi 8-9 maggio 1992, a cura di M. Marchi, Firenze, Giunti, 1996. (interventi di G. Zampa, R. Barbolini, G. Barberi Squarotti, F. Celli Olivagnoli, R. Scrivano, M. David, S. Loria, E. Pellegrini, M. Marchi, S. Perrella e R. Guerricchio)
E. Pellegrini, La riserva ebraica. Il mondo fantastico di Arturo Loria, con un saggio di G. Fink, Reggio Emilia, Diabasis, 1998.
N. Mainardi, Il caso Loria. Storia e antologia della critica, introduzione di M. Marchi, Firenze, Giunti, 1998.
I mondi di Loria. Immagini e documenti, Catalogo della mostra, Carpi 19 ottobre-17 novembre 2002 e Firenze 23-30 novembre 2002, a cura di M. Marchi, Firenze, Scala, 2002.
I mondi di Loria. Studi e testimonianze, Atti della giornata di studi, Carpi 19 ottobre 2002, con un’appendice fiorentina a cura di M. Marchi, Pisa, Edizioni ETS, 2004 (interventi di M. Luzi, M. Marchi, F. La Cecla, A. Prete, L. Melandri, G. Conti, S. Tomasi, D. Cancellieri, S. Carrai, S. Loria, G. Gozzini, S, Bonsanti, L. Barile e M. De Santis).
S. Baggio, Prezioso e dimesso. La lingua di Arturo Loria al tempo di «Solaria», Trento, Università di Trento, 2004.


Sei antichi giudizi critici


Dalla Secchia alla Marfisa, si fa buon cammino verso una qualità di lunatica astrazione, verso un gusto mescolato di sordido e di fantastico, e verso un’estetica di stracci appesi ai raggi della luna: quell’estetica che più arditamente si esprime in seppie e guazzi del Tiepolo, con zingare, mascherotti a conciliabolo, gufi appollaiati su un ramo d’abete, e una delle sette vacche magre spersa nel paesaggio pelato. Aggiungiamo la novella picaresca; ma ridotta dal Loria a minor torbidità e nerezza di sangue. Qualche eco dei cantastorie da fiera, e della poesia de’ carcerati. Si arriverebbe così, quasi senza accorgersene, a includere l’«ottocento» del Longanesi.

Emilio Cecchi, 1929


Cerchi il lettore La scuola di ballo, ventitreesimo volume della sempre giovane «Solaria», e lo legga senza prevenzioni. Non ci troverà solo due racconti di primissimo ordine, come La serra e La scuola di ballo; ci troverà un mondo umano, pietoso e insolitamente virile, pittoresco senza folclore, robusto senza ostentazioni. Scoprirà pure – fatto anche più strano – un disprezzo assoluto per le formule, gli astrattismi e le intenzioni che restano tali.
Novecentesco, Arturo Loria è per la qualità ferma, definita, del suo patetico; ma a lui chiedereste invano i «tics», gli annebbiamenti, le torbide complicità. Dove cade, cade per le difficoltà della materia o per l’indomito ardimento che gli fa varcare il segno. Ma il cuore è sempre fermo in lui; ed è quel cuore che ben conoscono gli amici e che dovrà portarlo lontano.

Eugenio Montale, 1933


È difficile, oggi, formarsi un’idea di che cosa possano aver rappresentato i racconti di Loria a chi gli fu più o meno coetaneo, animato degli stessi sogni e delle stesse speranze. Ma se ci attardiamo, anche solo un istante, su quel momento, vedremo come la situazione della nostra narrativa fosse della più estrema indigenza. Sparito Verga, e del resto male amato, ignoto Tozzi, gli epigoni dannunziani e i salottieri imitatori del Bourget tenevano la piazza. Al di fuori, l’America rappresentata da Dreyser, Joyce non aveva ancora pubblicato Ulisse, e Gide, solo in quel punto, Les Faux Monnayeurs. I nostri scrittori nuovi del dopoguerra, di poco più anziani, parevano tendere a preferenza verso una letteratura soggettiva, che ancora mantenesse fede ad alcune esperienze letterarie della Voce, e di esili movimenti più recenti. Loria spalancò una porta.

Alessandro Bonsanti, 1957


Il decadentismo di Loria è tutto imperniato in una sua riprova angosciosa dei miti stessi del decadentismo; è appunto un decadentismo maturo e cosciente (come sarà quello di Tennessee Williams) che non sa più prestare una larva di bellezza ai cenci o alle parrucche di Basiliola, ma che in ogni simulacro della bellezza non può fare a meno di vedere, in un ritorno di disperato e stanco dubbio romantico, la polvere, gli abiti scenici, i cosmetici delle eroine dannunziane; finché in un giuoco di perenne reversibilità fra realtà e mascheratura, quella stessa deturpazione si ricompone in idea di bellezza.
Si è detto che nell’ultima raccolta, La scuola di ballo, abbandonate del tutto le leggende romantiche, c’è un senso più scoperto della vita, con sempre tuttavia la stessa mistione di realtà e di simbolo, e il simbolo è, dialetticamente opposto al desiderio di amare, la larva di una vecchiezza, un memento mori, una «stanchezza di essere» implicita in tutte le cose.

Luigi Baldacci, 1957


Quando si raccoglieranno tutti i testimoni delle sue conversazioni, si penetrerà meglio il segreto del suo tacito sacrificio al tempo e all’uomo del tempo che egli coltivava in sé, si scorgerà il punto congruente e finale delle sue sperimentazioni giustapposte: il prezioso gioco psicologico del settecento goldoniano e l’afflato del neorealismo favolistico, l’intatta memoria della città rinascimentale fiorentina…

Oreste Macrì, 1957


Se rileggiamo l’attacco de La tromba, la prima novella del volume Il cieco e la Bellona, ritroviamo intatti, allo stato puro, quasi simbolici nella loro carica proemiale, i lineamenti torpidi e grigi di questa fantomatica pianura; nel «fango della pianura», nelle «carreggiate acquitrinose», nel «tempo da ranocchi», in tante coloriture macerate e sfatte della Bassa, cresce la plastica e allusiva solitudine, lo scorcio mitico che partendo da un luogo d’origine, da questa Carpi solariana, Carpi come un’infanzia, costruisce un pezzo dopo l’altro i fondali elementari di un mondo grottesco e sentimentale, dove l’aria di paese torna a ristagnare tra fumosa e vetusta, sacra insieme e soffocante.
Ancora la pianura, e ancora Carpi come un’infanzia, la stessa città del silenzio, possiamo captare nel dispositivo di parecchie novelle, nella Tromba come nel Registro, nel Tesoro come nel Racconto d’autunno. Immagini, memorie moltiplicate di una medesima città, che seguita a ripetersi, cinta di vecchie pareti, con le case miserevoli e basse, il quadrilatero delle mura rossastre macchiate di edere e capperi ricascanti, in mezzo agli spalmi di melma, all’acqua ferma, agli incolti che fioriscono tristi e sabbiosi sotto la cerchia. Per questo chi ha parlato di centro locale, fantomatico eppure familiare, di tetra fiaba e di ancestrale richiamo, ha avuto mano felice.

Renato Bertacchini, 1960

(da Arturo Loria. Carpi, Firenze e dintorni. Fotografie di Valerio Rebecchi, testi di Marco Marchi, Fondazione Fossoli e Comune di Carpi, 2002; con aggiornamento bibliografico)