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Anno 2007
  Stefano Loria
 
Arturo Loria oggi
  Stefano Loria Misurare i cento anni trascorsi dalla nascita di Arturo Loria potrebbe non essere un semplice rituale e trasformarsi in un’occasione utile. Ad esempio potremmo chiederci che cosa resista oggi di bruciante ed attivo - direi anche di non svelato, di intatto alla curiosità del lettore – dentro la tessitura lavoratissima della sua scrittura, rimasta attraverso gli anni un patrimonio ancora incorrotto.
Sgorgato in un arco di tempo in fin dei conti abbastanza ridotto – dai primi anni Venti del Novecento fino alla metà del decennio successivo – il nucleo più esplosivo, più carico di energia contenuto nella produzione di Arturo Loria si mostra fin dal primo apparire contrassegnato da una singolare forma di anacronismo.
Le tre raccolte di racconti pubblicate in gioventù gli diedero la solida fama di autore dotato di una vena molto personale. Questo nuovo scrittore si dimostrava capace di tirare fuori da un suo privato archivio di vita non vissuta una serie di stravaganti creature. I racconti esplodono fin dalle prime righe, tracciando visioni di precisione cinematografica, con dettagli descrittivi sistemati in costruzioni di allucinante nettezza. Ma le vicende narrate nel procedere mostrano sempre uno spessore enigmatico, una seconda natura che elude le ragioni del realismo anche quando le storie paiono assecondare sviluppi plausibili. Arriva ogni volta un taglio improvviso, una notazione lasciata cadere nel cuore degli eventi, un arabesco fuori programma ad aprire al pubblico la scena di una rappresentazione più avanzata e rischiosa del previsto.
Dobbiamo leggere i personaggi di Loria come creature fittizie per eccellenza. Sono figure lontane anni luce dalle reali esperienze biografiche dell’autore: una banda di criminali in fuga, sperduti in pianure fangose; inquieti adolescenti – che immaginiamo cenciosi e vitali come orgogliosi zingari – esposti al turbamento di un desiderio violento; anziani affaticati dai fallimenti dell’esistenza; emarginati di vario genere espulsi dal carosello della vita attiva ed ormai condannati ad avvertire il peso del fallimento fino al termine dei loro giorni. Attori vaganti. Fuggiaschi. Reietti. Patetiche donne in avventura per strade di città. Sarebbe un errore farsi ingannare da tutta questa frenetica attività. Si tratta di falsi movimenti. I destini di tutti i protagonisti sono già segnati, le traiettorie seguono schemi fatali che portano il punto di arrivo a coincidere con il punto di inizio. Le atmosfere dominanti restano centrate – anche nei racconti appartenenti all’ultimo periodo, contenuti nel libro postumo Il compagno dormente, e nelle carte di un romanzo frammentario rimasto incompiuto – sul registro della densità, della dimensione claustrofobica, dell’insoddisfazione latente. La pagina di Loria incendia il realismo e non si fida della psicologia. Non crede che la scienza delle pulsioni profonde possa davvero spiegare le ragioni segrete dei nostri comportamenti : si percepisce dentro le azioni dei personaggi la presenza di misteri cifrati, tenaci, refrattari ad ogni tentativo di ulteriore chiarimento.
E’ la finta trasparenza della scrittura di Loria, così esatta nel descrivere ogni elemento della scena ma al tempo stesso così abile nell’impedire che questo nitore possa trasformarsi in piattezza, in ovvietà, in prosa diurna. Anche in piena luce, anche all’aria aperta – è stato notato – le scene di questo scrittore sembrano svolgersi di notte, oppure nel chiuso di un teatro.
A dispetto dell’entusiasmo e degli apprezzamenti dei molti (e spesso autorevolissimi) critici che fin dall’esordio stimarono e appoggiarono lo scrittore, l’opera ha subito il destino di restare una sorta di tesoro nascosto della letteratura italiana del Novecento. Siamo costretti ad ammetterlo, i bagliori sprigionati dalle sue pagine hanno in qualche modo saputo bucare la materia degli anni giungendo a noi, ma hanno fino ad oggi toccato porzioni molto ridotte di pubblico. E’ venuta in alcuni casi a crearsi l’idea di un autore difficile, tortuoso, responsabile di pagine che offrono particolari ostacoli all’interpretazione e richiedono uno speciale impegno ai lettori che osano avventurarsi dentro i suoi mondi. Tale aura è solo in parte legittima.
Ad essere sinceri non è tanto la complessità delle soluzioni sintattiche a pesare, e neppure la costruzione picaresca delle trame, né il montaggio delle sequenze narrative. In lui non troviamo infatti nessun genere di arduo sperimentalismo linguistico che possa terrorizzare il lettore: non seguì i dogmi delle grandi avanguardie del secolo (che in verità gli sarebbero state vicine e tangibili per motivi di congiuntura temporale e formazione) tese a rinnovare in modo radicale il tipo di attrezzatura adottabile da parte degli scrittori.
Al contrario, sotto il profilo stilistico operò una bizzarra fuga all’indietro, inventandosi un lingua polverosa, trattata in modo da apparire vintage, luccicante di lampi che sembrano provenire da un deposito di antichità, una lingua che dovette apparire subito - anche ai suoi contemporanei – sortita fuori con un aspetto già logorato, come una sostanza usurata prima ancora di essere sottoposta alla consunzione degli elementi atmosferici. Ecco la componente anacronistica capace di spiazzarci ancora oggi. Questo mi appare oggi il segreto del fascino dell’opera di Loria: l’essersi inventato una strumentazione lontana dai dettami di modernità dell’epoca. Resta il fatto che con questi strumenti che sapevano di vecchio, con questi arnesi arrugginiti, Loria si è impegnato nella paradossale impresa di creare racconti molto originali ed imbevuti delle inquietudini della modernità.
La cosa principale oggi mi pare questa: per raccontare la propria percezione del mondo si è inventato una lingua italiana sorprendente, virtuosistica, vibrante e impolverata al medesimo tempo. Un congegno potente, capace di sovrapporre ad ogni elemento della narrazione una patina specialissima. Una velatura che rende cose, circostanze e persone come se fossero state esposte ad un istantaneo processo di invecchiamento. Ha modellato una orchestrazione sofisticata, con la quale poter accendere e dosare crescenti dosi di malinconia. Ma questa lingua contiene anche una possibilità di riscatto. Una occasione di salvezza. Sottraendo le figure in azione al dominio della cronologia, Loria le ha stappate al flusso caotico degli eventi per consegnarle ad una zona intangibile all’interno della quale resiste una sostanza etica. La cura dello stile in Loria finisce per tramutarsi in sostanza morale. Scrivere è per lui esercizio di massima responsabilità, una disciplina non priva di una sacralità intrinseca. In gioco è l’estremo tentativo di attribuire un senso allo spettacolo del mondo che altrimenti, privato della costruzione attenta di un interprete chiamato a questa missione, rischierebbe di non mostrare alcun significato.
Nel lampo rapido del tempo ha desiderato raccontare il sorgere delle illusioni ed il loro dissolvimento dentro il compiersi delle esperienze. E’ riuscito a creare un glorioso doppio dell’esistenza che splende vivido ad un grado più alto di intensità.

(da I mondi di Loria. Studi e testimomianze, Edizioni ETS, 2004)

Stefano Loria (Firenze, 1961) si è laureato in Lettere presso l’ateneo fiorentino con una tesi dedicata ai racconti di Arturo Loria. È stato uno degli organizzatori delle manifestazioni di “Ottovolante”, associazione che negli anni Ottanta allestiva a Firenze un festival annuale di poesia, letteratura e filosofia. Ha collaborato e collabora a giornali e riviste, tra cui “l’Unità”, “Tema Celeste” e “City Firenze”. È anche pittore: le sue opere sono visibili presso la galleria Sergio Tossi Arte Contemporanea di Firenze (http://www.tossiarte.it/). È uno degli animatori del blog Piccolo Nemo (http://www.bloggers.it/PiccoloNemo/).