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Come abbia fatto a trovarsi spogliata accanto al corpo spogliato di Saro, Marianna non saprebbe
dirlo. Sa che è stato semplicissimo e che non ha provato vergogna. Sa che si sono abbracciati
come due corpi amici e accoglierlo dentro di sé è stato come ritrovare una parte del
proprio corpo che credeva perduta per sempre.
Sa che non aveva mai pensato di racchiudere nel proprio ventre una carne maschile che non fosse un
figlio o un invasore nemico.
I figli si trovano nel ventre della donna senza che lei li abbia chiamati, così come la carne
del signor marito zio stava al caldo dentro di lei senza che lo avesse mai desiderato né voluto.
Questo corpo invece lei lo ha chiamato e voluto come si chiama e si vuole il proprio bene e non le
avrebbe portato dolore e lacerazione come avevano fatto i figli uscendo da lei, ma sarebbe scivolato
via, una volta condiviso «lu spasimu», con la promessa gioiosa di un ritorno.
Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo dell’uomo fosse fatto per dare tormento. E a
quel tormento si era arresa come al «maliceddu di Diu», un dovere che ogni donna «di
sentimento» non può non accettare pur inghiottendo fiele. Non aveva inghiottito fiele
anche nostro Signore nell’orto di Getsemani? Non era morto sulla croce senza una parola di
recriminazione? Cos’era la piccolezza di un dolore da letto rispetto alle sofferenze di Cristo?
E invece ecco qui ora un grembo che non le è estraneo, non la assale, non la deruba, non chiede
sacrifici e rinunce ma le va incontro con piglio sicuro e dolce. Un grembo che sa aspettare, che
prende e sa farsi prendere senza nessuna forzatura. Come potrà più farne a meno?
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