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Anno 2009
  Mario Luzi
 
L'Elsa e altri fiumi
  Sette poesie lette da Francesco Manetti
 

Mario Luzi Si pasce da sè il fiume, bruca
                                serpeggiando
le sue
    quasi sgorgature,
                             visita
le sue
    quasi pozzanghere,
si trascina ai suoi già putridi ristagni
finchè poco più oltre
                            un poco lo confortano
misteriosi trasudamenti,
lo irrorano frescure,
umori, vene
dal più profondo
del suo cuore sotterraneo
                             ed eccolo
rinasce esso dalle secche,
ora, si lascia dietro la sassaia
della sua quasi estinzione
per il suo nuovo cammino –
                            si muove verso se stesso il fiume,
                            si sposta dentro il suo cangiante bruco
ed entra, fiume nuovo
uscito dalle sue ceneri
nei luoghi dove opera
la primavera              e non c'è
fiore né gemma, non c’è ancora
ma c’è quella radiosa incandescenza
di luce e opacità nel bianco dell’aria,
c’è, ed ecco si diffonde, quella trepidante animula
e quel chiaro sopra la linea degli alberi,
quel già più festoso scintillamento delle acque.
C'è tutto quello. E c'è
                               lui fiume,
ne vibra intimamente
il senso. C’è questo, c’è prodigiosamente.
                        (Quale fiume, da Per il battesimo dei nostri frammenti)


Quale fiume
                   mai giunto al mare
o ad altro abboccamento.
                   Va e sta
lui, prigioniero
delle campagne,
                   avvinto
dai paesi,
incantato dal suo corso,
                            perso
nella sua
quasi immobile andatura
quasi immobile giacenza,
non più fiume
ecco, alveo senza corrente,
                            fiume,
lui, defluviato
                   dalla sua miserevole insufficienza,
smorto nelle sue pozze,
smarrito nelle sue anse.
Acqua ferma, divisa,
                            acqua
con acqua non ricongiunta,
guasta in ogni molecola,
fetida, imputridita.
                            O no,
acqua tutta succhiata,
tutta da tutti i granuli,
da tutte le barbe
e dai loro filamenti,
                           tutta
avuta, ricevuta,
                   avidamente ingoiata.
Tutta partecipata, tutta tramandata.
                        (Quale fiume, da Frasi e incisi per un incanto salutare)

Fiume lento, ma fiume…
aspetta l’acqua, aspetta
le sovvenga
più forza e più sostanza
dalla pioggia piovuta
a monte poco avanti –
acqua vogliosa d’acqua,
d’acqua
intimamente bisognosa,
                                  deve,
essa, oltre i ristagni
i salti ed i ripari
giungere ad altra acqua
che la ingoia, l’annulla
e la ricrea – oh sempiterna danza.
              (Fiume lento,ma fiume, da Dottrina dell'estremo principiante)


È fermo il fiume. Sonnecchia –
amaca quelle maglie
di suoi vibratili riflessi –
                                      adagia
il dorso e la pigrizia
in quel meridiano sfavillio
di stelle fatue, di lapilli.
Ma non è lieto,
                    non ride
come sembra
                     dai raggi e dai barbagli,
                          dei suoi ozi il nume.
Gli manca, fiume,
                        la sua fluvialità,
l’anima, la ventura.
                               O invece è vera pace
per lui quella pazienza
                                nella stasi
e nell’estasi
                  suprema concordanza?
(E' fermo il fiume.Sonnecchia, da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. L'Elsa!)    

Stasi – morta l’immagine,
a picco, in sé medesima. A piombo
caduta la visione, decomposta in brani,
esatta l’insolazione.
Occhio verde del fiume – 
è luglio – tra il fogliame;
vetro pigro-fluente,
verde, verde liquame.
Canne, erba, muschio, fiume,
verderame, verde quasi bitume.
Specchio di chiari cieli,
dov’è radura, di nubi.
Delizia nello stare,
pigrizia nell’andare
dell’acqua, delle creature.
Oh estate, minima stazione
d’immensa verità. Nume.     
          (Stasi - morta l'immagine, da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini)   

S’infrasca il fiume,
                            si adombra
il luccichio, si abbuia,
                            cupo liquame,
il suo poco fluire.
Scompare tutta,
                   si eclissa,
ma, eccola, ne esce
solcando il nero brodo
                   e, dopo, il verde nero,
                                      il verde, sbuca
più oltre in pieno sole,    
                            lei, barca pioniera.
E ora nel diluvio
di luce,
         al fuoco,
al lampeggiare delle acquose squame
è lei che erge
la sua nera materia
controluce, nell’aria
radiosa riproduce,
pugno atroce, l’ombra.
Lo ignora o è al corrente l’equipaggio?
di quel gioco eterno
e di sé che ne fa parte?
L’oscuro, il chiaro
il loro mutuo avvicendarsi,
la storia umana, inestinguibile pedaggio. 
   (S'infrasca il fiume, da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini)

Dopo la curva,
                              finito
in dirittura
 il trepidante giro
                   vede il fiume con sorpresa
farsi prossima la fine
                              del suo alveo,
del suo proseguimento,
venirgli incontro
l’aria della foce
                              eppure non si perde
la sua lena, respira e si ravviva
d’acque reflue
                   azzurre già marine
il suo incipiente agonizzare
tra i salici, le canne, il folto
tappeto d’erbe di palude.
Scintilla qua e là, s’incendia
verso la linea del mare
la poca corrente che discende.
Addio chilometri di corso,
di pazienza, d’ira,
di estasi tra gli argini
nei campi, sotto i ponti.
Prendimi, mare aperto, annullami,
ma restituiscimi alle origini,
riportami alla roccia, alla sorgente…
Questo splende nell’ambiguo alone,
mi affascina, mi confonde…
                                       (Dopo la curva, da Sotto specie umana)