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Si percorrono i due "Meridiani" Mondadori su Pascoli, le Poesie e Prose scelte, con una tensione da togliere il fiato. Finalmente abbiamo sotto gli occhi il risultato di ricerche che Cesare Garboli ha condotto su uno dei patrimoni testuali più straordinari e contagiosi della nostra letteratura. Ha trattato il "giallo" di una vita con coraggio e spietatezza, ma anche con passione; quella passione che rileva il contagio, quella spietatezza che riesce a dominarlo col bagno freddo della filologia e di una conoscenza profonda.
Penetrando nelle singole raccolte, sconvolte, sfatte, spaccate, la verità morta consegnata dall'autore nell'Opera omnia, si anima di nuove sconcertanti rivelazioni; l'ideologia delle lacrime copre il buio del sangue di una non volontà di vivere che nasce dall'imbroglio famigliare: terrorizzato dalla fortissima carica di libido e desiderio, Pascoli inventa una paradossale castità, costruendo, sulla rovina della famiglia originaria, la fertile invenzione del nido, la sua famiglia contro natura. Costruendo, si potrebbe dire, sulla mancanza del padre ottocentesco e la sua genitalità, il suo novecento all'insegna del femminile, dell'icona materna. Viene ancora evidente il paragone con l'esperienza del contemporaneo Giacomo Puccini, nella cui drammaturgia l'ossessione del femminile sostituisce quella del padre, centrale, ad esempio, nell'opera verdiana. Il fatto è che, con il matrimonio di Ida, una delle sorelle, anche la famiglia inventata si spacca; la vita impiegata in questa costruzione straordinaria e folle è stata spesa inutilmente. Non rimane che la rinuncia, la strage di ogni desiderio.
L'esperienza degli studi danteschi s'innesta proprio su questo tronco bruciato, ne rivela in modo raccapricciante terrori e sogni. La confessione si scherma, ma a tratti il grido erompe in modo altrettanto potente che se fosse diretta. È proprio riguardo ai testi intorno alla fatale data del 1895 che il metodo filologico, di decostruzione, di Garboli dimostra tutta la sua efficacia.
I componimenti nuovi che andranno ad incrementare la terza edizione di Myricae, e che passeranno in altre sezioni nel corpus definitivo, si ritrovano in serie, nati da uno sgomento unico, sanguinanti da una ferita indicibile, eppure tante volte gridata. Siamo costretti a leggerli in modo nuovo. Contemporaneamente Pascoli esibiva, soprattutto nelle prose a carattere storico e civile, un carattere edificante, costruttivo, che lo riportava all'ottocento, facendogli indossare l'abito delle cerimonie.
Un abito che qua e là si strappa, facendo vedere appunto di che lacrime e sangue grondasse il corpo che ricopre. Il corpo: alla fine della selva cartacea che Garboli ci fa attraversare risulta essere esso il vero protagonista. Paura della morte, altrui e propria, indebolimento prodotto da una vecchiaia sentita di colpo istinto sessuale: pochi poeti hanno sentito in maniera così forte e terribile la cecità dell'organismo fisico che ci fa. E pochi hanno impiegato tutta la loro intelligenza, residuo di volontà, a mascherarne i sussulti, marmorizzando il proprio disordinato percorso, la propria geniale, disgraziata dispersione.
Giacomo Trinci, pistoiese, è uno dei più significativi poeti italiani d’oggi. Tra le sue raccolte di versi si ricordano Cella, Voci dal sottosuolo, Telemachia, Resto di me, Senza altro pensiero. Ultimamente apparso Sul finire, libro con cui ha vinto la sezione poesia del Premio Piero Ciampi 2012. Ha dedicato alla figura di Pinocchio Autobiografia di un burattino. Ha vinto nel 2000 il Premio Letterario Castelfiorentino con il poemetto su Santa Verdiana Ritorno in Valdelsa e da allora ha fatto parte della giuria del Premio.
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