I.
Sdraiato su una panchina a Collesalvetti
testa sulle gambe magre di Chiara, sole
negli occhi, dopo il pranzo sotto l’ombra
dei primi pini marittimi, pane e prosciutto,
l’estate di giugno. - Vedi, laggiù è il posto
nostro - le dico. E indico il sud, verso il mare, a Chiara vestita di bianco con una fascia verde
a tenerle raccolti i capelli. Ogni tanto si gira
di nuovo per guardare oltre le basse colline. Poi:
- Bello dormire ‘osì - mi dice la voce d’un vecchio
che porta a mano la bicicletta. - Mica male, -
gli rispondo - il cuscino un po’ duro -. Ride allora
l’uomo, suona il campanello e risale sul sellino.
II. Piombino e Vada
La madre di mia madre camminava a piedi nudi
sugli scogli di Piombino. La sua di madre era morta
e lei viveva quasi sola il giorno per le salite e le discese
e le minuscole spiagge. Sentiva pungere sotto i piedi
sentiva il mare nel naso. Le sorelle all’ora di cena
la cercavano gridando dalla terrazza di piazza Guardi.
Poi un giorno era ragazzina e un ragazzino prese
ad aspettarla al fondo della via, si chiamava Fiore.
Teneva le mani in tasca ed era già stato in quei
posti dove si va con le donne. Questo racconto
a Chiara in piazza a Vada. La stanza che abbiam
trovato dà sul forte, e una piccola finestra vede
la spiaggia bianca e lunga. La sera aspettiamo la notte
sui gradini della chiesa, guardiamo i bambini
correre sul grande spiazzo di ghiaia, il paese
vivere il suo Giugno Vadese, come dice una scritta
rossa su un cartello bianco. La chiccaia col banco
pieno di ogni dolciume, ci ha preso in simpatia.
III. California
Allora è questa La California. Case basse
e allineate sulla vecchia Aurelia
che non la fa più nessuno,
tra Marina di Bibbona e Cecina.
Sotto al pergolato, fai i conti ai tuoi
ventisei anni con le mani, socchiudi gli occhi.
Io, come un vero viaggiatore, racconto
per l’ennesima volta al barista la storia
che, per un quarto a cui tengo molto,
sono di Toscana anch’io. Tu bevi e riposi.
Non pensavo ci fosse una così minuscola
stazione in California. E grano tagliato
nei campi e lunghi filari di pioppi. E pace.
IV. Le nostre compagnie
|
Per molti anni mi sono autonominato ispettore delle tormente di neve e dei temporali e ho svolto il mio dovere scrupolosamente: sorvegliante non delle strade principali ma dei sentieri delle foreste e di tutti i viottoli fra le varie proprietà, che mantenevo sgombri, così come mi prendevo cura dei ponticelli di transito sui crepacci, affinché rimanessero percor-ribili in tutte le stagioni, nei luoghi in cui le impronte del passaggio pub-blico ne testimoniano l’utilità.
Henry David Thoreau Walden |
- Tu bevi soltanto alla Festa dell’Unità di Bibbona
e io so pure il perché - dice Chiara portandomi
il bicchiere colmo mentre guardo la vecchia ala
del Rosignano che ride di quel che Chiara mi dice.
Allegria e silenzio assieme quassù. Tavoli e tavolate
di gente ma anche lunghi tavoli lasciati vuoti. L’ala
del Rosignano è un uomo fatto ormai che mi racconta
di come il fratello era diventato comunista per avere
in concessione con altri amici la gestione di una spiaggia.
Bevo di nuovo, ci rido su pure io. Poi la ruota dei premi
comincia a girare. Il salame più grande va a una signora
di Bibbona, qualcuno grida al complotto e van tutti
a ballare sullo sterrato. Così lasciamo la festa e ripartiamo
di nuovo per Vada. La strada, in macchina, si va piano,
che attraversano i conigli, che la notte è leggera.
V.
|
Il principio del “centralismo” bergsoniano è che c’è infinitamente di più nel senso che nei segni, nel pensiero che nella percezione.
V.Jankélévitch Henri Bergson |
I libri che portiamo con noi riempiono
quasi la stanza. Chiara ha un modo suo
di leggere Cervantes quasi nuda alla spiaggia
nel secondo pomeriggio stanco dopo l’amore.
Resto a guardarla un po’ senza dire niente
poi vengono a chiamarmi per una partita
al campo bruciato dal sole che ormai
sta scendendo sul mare. Corro avanti
e indietro e provo a inventare qualcosa
col pallone fra i piedi. A sinistra il mare,
a destra scavi etruschi addormentati. Il pallone
finisce fra le tombe. Un attimo e un ragazzetto
scavalca e salta dentro. Recupera il pallone
e un coccio nero di anfora che va a nascondere
nello zaino. Il gioco riprende.- Domani ti porto
in un posto - dico a Chiara la sera in piazza.
Lei si stringe, mi tiene col braccio. C’è molto
da imparare, uno della terra dell’altro.
VI.
Nel golfo caldo di Baratti, le tue gambe
prendono forza da quest’acqua senza padroni,
dalla pineta libera, dalla rena che risplende
che riflette ferro e oro. La mattina, su a Populonia,
ci siamo fermati un po’ al cancello del convento.
L’hanno lasciato lì a fare edere, fino a quando
qualcuno un giorno se ne accorgerà e cambierà
i vetri rotti alle finestre, darà una mano di vernice.
Io ci ho dormito dentro da bambino per sei lunghe
estati. Esser bambino, d’estate, in questo preciso posto
del mondo. Mi nascondevo dietro le sottane delle suore,
dicevo loro che volevo farmi prete per farle contente,
o calciatore per fare contento mio padre. Esploravo
le cucine immense, i saloni. Il giardino segreto
che scendeva dolcemente, le gabbie dei conigli.
Chiara con me ha visto quel che da lì si poteva
vedere, del refettorio, del cortile, della terrazza.
Ha detto deve esser stato molto bello. Ora
stesa al sole si asciuga al vento leggero,
seni bianchi e gambe lunghe. - Chissà, forse
un giorno potremmo stabilirci qui - mi dice. |