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FRANCESCO SCARABICCHI
"Via del vento"


Sono parole. Sanguina il mio cuore
come un cuore qualunque.
La dura spina che m’inflisse amore
la porto ovunque.
Umberto Saba, L’amorosa spina

Antefatto


Luce quel tanto che basta da un’insonnia di Piazza Grande, alta sulle pietre e su me, sull’ombra smagrita del Pozzo, ansia che anticipa il mattino qui dove trema e freme l’aria che lascia il buio e la paura. Il nome pronunciato non ha voce. Chi non risponde è altrove, nel destino di un sonno poliziano, non distante dagli occhi miei che scelgono le fessure e le crepe dell’incompiuta chiesa, l’odore giovanile che resiste nonostante il dolore dentro i secoli, luna sul vento e cenere di braci non arrese al Bravio, perduto chissà dove il rosso scarlatto del drappo. Che siano per te che non lo sai le cartoline del mese che si compie, brivido e pena prima che scompaia oltre la curva dove volta il giorno. Agosto è questo diario dove giungono, discrete, le parole come gli uccelli d’alba silenziosi quando Toscana è l’orma del viaggio che finisce, Greve che si fa Orcia e Siena e torri, fumo dei boschi, vigna, ferita d’ogni ulivo che s’infiamma nell’ora arsa di cicale e polvere. Chissà dov’è rimasta la tua gonna, se a Fiesole sul muro della casa o in un albergo d’Arno; chissà dove ho lasciato me ad attendermi, contemplando un cancello o a un tavolino di caffè all’aperto, fosse Lucca o Volterra, fosse l’ansia di una via alberata, Val di Chiana che fugge come gli anni, all’insaputa. Sono per te che resti mentre vado questi fogli di sosta, messaggeri al Marzocco, nel risveglio.

 

Biglietti


1

A vederti a quest’ora della vita
la luce fra le labbra è un’espressione
di sentiero che guida dove sei,
se ti ascolto nell’aria della voce,
se il nome solitario ti confida
l’invisibile cielo della casa,
la musica che posso respirare,
il verde muto di persiane chiuse.

2

Mi condanna l’azzurro delle vene,
l’ombra lontana che non sa tornare,
le lettere del nome femminili.

Chissà dov’ero prima d’esser qui,
chissà chi ero prima d’esser te
che scivoli discreta da un foulard
e sei un numero civico, una via
del chiuso mondo che mi tiene fuori.

3

Così l'astuto amore a me detta il tuo nome,
lo pronuncia in tal modo che diventa
mio come sempre fosse stato
e a te consegna di me quel nome
che per sempre è tuo.

4

Guardami come sono, mia caduta,
precipizio degli anni, una camicia;
ascoltami tacere, se mai sia
l’unico modo per poterti dire
che questa è la mia vita, un crocevia
di perdite e confini, tu che vanno
come acqua di fiume,
luci di costa accese alla mia insonnia,
al terrore del buio che si ostina,
nel chiarore dell’alba, a impallidire.

5

Che vuoi da quei tuoi occhi, dagli abissi
di vento e verde che non ha confine,
che vuoi da me che tremo da quest’ora
in cui si perde una canzone bianca
e non ho vita per tenerti ancora,
non ho vita ma il semplice saluto
che ti lascia, carezza mia furtiva,
se scompari e mai più per questa notte
posso con te confondermi, mai più.

6

Non per me questo niente che s’infiamma,
che ti chiama chissà con quale voce
e congeda il tuo pianto dopocena,
se guardi a labbra umide e ferite
gli anni che adesso sono i tuoi minuti.

7

Ogni nome è il tuo nome.

8

Nessuna riga sa di me, né mai
saprà che scrivo di te a te che sai
che niente resta vivo di una voce,
del parlare sommesso dov’è buio,
del mondo che sommerge in tanto scuro
fra le lontane luci, le colline
che da qui puoi vedere illuminate,
paesi che hanno solamente notte
come i tuoi occhi che non so di giorno
dove smarrisci e ridi, dove doni
ogni tenero nulla che dissolve,
aria di un marciapiede o di un dolore
invisibile sotto la tua blusa.

9

Passano in fretta senza lasciar traccia.
Saranno come sono i veri inverni,
gelo di vetri e strade, muri e foglie
intirizziti all’aria trasparente
eppure con un piccolo calore
che li vince, se appena l’attraversa
la vita dentro un brivido infinito.

10

Ti mentirò ogni volta che saprai,
sarò la verità che ti si addice,
il timore di me che trema e geme,
l’ansia di abbandonarmi, la paura.
Non c’è davvero altro oltre quest’ora,
confine insuperato che ti avvisa
che nulla resta, nulla si consegna.
Il corpo perde ogni sua divisa,
la beltà delle epoche, la forma,
muta ad ogni stagione, si confida,
lascia le stanze dell’amore, sogna
tutti gli anni dei mesi che ha mancato.
Impara a consumarmi, a consumare
quel che non resta, quel che non si ferma;
ardi alla fiamma d’una vita spesa
finché non si fa brace d’oro in cenere.