Io gioco sempre con le formiche. Mi
piace giocarci perché/
Quando siamo arrivati
qui a Firenze avevo paura che non ce ne fossero. Mia
mamma mi diceva “Vedrai
che ce ne sono tante anche là”, ma non
sono come quelle su, quelle con la testa rossa che
mordono. Quelle che sono qui hanno tutte la testa nera.
Forse quelle rosse stanno solo sulle montagne.
Appena
sono entrato nella casa di Firenze, mio zio mi ha detto “Vieni,
vieni a vedere la tua camera”. Sono entrato e
mi sono messo subito a cercare sotto il letto e dietro
al comodino, ma invece delle formiche ho trovato/
Mio
papà di lavoro fa le dighe.
Mio papà di
lavoro faceva le dighe. Faceva il ferro per le dighe.
Lo tagliava e lo piegava, ma io non l’ho mica
mai visto il ferro nella diga. Ora papà è in
un posto dove si riposano tutti quelli che fanno le
dighe, perché hanno
lavorato molto e devono riposarsi molto. La mamma però non
sa quando ritornerà.
Lui a volte mi portava
sopra al monte, a vedere il lago e la diga che aveva
costruito; camminavamo per un sentiero nel bosco. Mi
faceva salire sulle spalle, perché diceva che
il sentiero era troppo ripido e pericoloso, e si poteva
cadere giù, rotolando
anche fino al lago, e mi diceva che il ferro era tutto
dentro al cemento. Il cemento era pieno di ferro. Io
infatti vedevo solo il cemento, e c’era sempre
vento lassù, su quel sentiero, un vento fortissimo
che sembrava volermi strappare i vestiti di dosso.
Mi diceva “Tieni la mano sul cappello, sennò ti
vola via”. Mentre parlava col suo vocione mi
vibravano le cosce che gli stringevo intorno al collo.
In fondo al monte c’era quel bel
lago e quella piccolissima diga di cemento. Di cemento
e ferro.
“Papà, quando andiamo a
fare il bagno nel lago?”, chiedevo. E lui si
metteva a ridere “Guarda che non è un
lago; e poi, neanche sai nuotare. Non hai paura di
annegare?”, mi rispondeva con la sua voce grossa
grossa.
Io papà me lo ricordo coi baffi,
ma nella foto che ha la mamma sul comodino non ce li
ha. E’ vestito come un soldato, ma è senza
baffi. Spero che ritorni presto, e che abbia ancora
i baffi.
Poi siamo venuti a Firenze, io e la
mamma; è successo un po’ di tempo dopo
che mi misero in punizione, incastrato tra il tavolo
di cucina e la porta della camera di mamma e papà;
avevano spento la luce e mi bagnavano; avevano riempito
la casa di acqua fredda e non potevo muovermi perché avevo
il tavolo addosso. Io strillavo e chiamavo “Mamma,
mamma”, ma non mi rispondeva nessuno. Dicevo “Basta,
smettila”, ma continuavano a bagnarmi. La mamma è arrivata
di corsa, tutta bagnata, e mi ha abbracciato e piangeva;
segno che non è stata lei a mettermi in punizione.
Forse è stato papà. Non ricordo cosa
avevo combinato: sicuramente una delle mie, mi sa che
stavo giocando con le formiche sul tavolo, o forse
perché/
Un po’ di tempo dopo siamo venuti
a Firenze.
Per arrivare in casa nostra si entra
in un portone, grande che non arrivo neanche alla maniglia,
si cammina in un corridoio che mi piace farci gli urli
e batterci le mani perchè rimbomba e la mamma
mi dice “Fai piano, smettila”, e poi ci
sono due scale: una sale molto in alto, e su ogni piano
ci sono due portoni, e una scende. Io e la mamma scendiamo
le scale ed entriamo in casa. Per me questa casa è bella:
ci sono delle finestre lunghissime. Io mi metto in
piedi sul mio letto e vedo le gambe delle persone che
passano, vedo la strada e, anche se ci parcheggiano
le auto davanti, tra le ruote riesco a vedere il muro
del fiume. Se mi abbasso e ci guardo un po’ storto,
a volte vedo anche le facce di chi passa.
Sento mio
zio, quando viene a trovarci, che dice alla mamma che
sta cercando qualcosa di meglio, che questa situazione
non va bene, ma lei gli dice che non può permettersi
nulla di più.
Mio zio non si toglie l’impermeabile, quando
sta in casa nostra, e tiene il cappello in mano, senza
sedersi. Poi dice alla mamma di non preoccuparsi, che
l’aiuterà lui e che una sistemazione
migliore si trova. Io spero di non trovarla mai un’altra
casa, perchè per me questa è bellissima.
Riesco anche a toccare il soffitto con le mani, quando
salto sul letto, ma la mamma/
Mia mamma fa la sarta.
Io gioco sempre con le formiche.
Le catturo mentre torno da scuola e le metto in un
tubetto vuoto di cibalgina che mi ha regalato lo zio.
Le formiche sono intelligenti, gli metto delle briciole
di pane e loro sembra che ci vedano, ma la maestra
dice che sono cieche. Allora forse sentono l’odore;
si avvicinano velocemente al pane e lo studiano un
po’ con le antenne, e se è grande
ci salgono pure sopra. Si portano dietro dei pezzi
enormi da fare spavento. A volte glieli inzuppo d’acqua
e loro neanche si avvicinano: forse l’acqua gli
annienta l’odore e siccome sono cieche non si
accorgono che c’è il pane. Quindi sono
intelligenti, ma anche un po’ stupide, perché basta
un po’ d’acqua a fregarle.
Un giorno ho
visto una fila di formiche che passava dietro al rubinetto,
in cucina. La mamma cuciva e non si era accorta di
nulla. Ne ho catturate più di trenta e le ho
messe nel tubetto di cibalgina.
Mi diverto a mettere
le formiche nell’acqua:
galleggiano, e se le spingi giù col dito non
risalgono più. Ma non muoiono! Le puoi tenere
là sotto quanto vuoi e non muoiono mai. Io le
spingo sotto l’acqua col dito e inizio a trattenere
il respiro. A volte conto anche fino a cinquanta, e
mi sento schiantare e incrocio gli occhi per resistere
di più senza respirare, ma loro sono sempre
lì che muovono le zampette dentro al bicchiere,
come se volessero nuotare. Poi scoppio e butto fuori
l’aria, inizio a respirare veloce veloce e tiro
fuori la formica dall’acqua. E’ incredibile;
riparte a camminare come se non fosse successo niente,
lascia una riga bagnata sul comodino e se ne va. Sembra
un po’ affaticata, ma quando poi/
La mamma cuce
sempre roba colorata.
Tutti vestiti a fiorellini e
a strisce colorate; da donna.
Li cuce, ogni tanto li
tira su, se li appoggia addosso, si va a vedere allo
specchio in camera e poi li rimette sulle ginocchia
e continua a cucire.
Un giorno ne ha cucito uno azzurro
e bianco, con dei disegni che sembravano onde del mare.
Allora le ho detto “Mamma, perché non
ne fai uno anche per te di questi vestiti, sono più belli
dei tuoi”.
“Sì, sì, lo faccio”,
mi ha risposto, ma poi ha continuato a mettersi quei
vestiti neri che porta sempre.
Il lunedì e il
giovedì mi
viene a prendere lei, a scuola. Allora attraversiamo
la strada e camminiamo lungo il fiume. Io salgo sul
muretto e ci cammino sopra, mentre lei mi tiene la
mano. Abbraccio i lampioni e ci giro intorno senza
mai scendere. Mi piace vedere l’acqua che scorre
all’indietro, a volte mi fa girare la testa,
mi sembra quasi di perdere l’equilibrio, e la
mamma mi stringe la mano e mi dice “Fai attenzione
a dove metti i piedi, sennò scendi”.
Un
giorno, mentre camminavo sul muretto e mi teneva per
mano, le ho detto “Mamma, quando
papà ritorna gli chiedo di fare una diga anche
qui, così quest’acqua si ferma e diventa
un bel lago”.
“Scendi”, mi ha detto
lei, e mi ha tirato giù; ma non eravamo ancora
a casa, però sono sceso.
Mi ha abbracciato e
abbiamo continuato a camminare, ma io camminavo male,
perché mi
stringeva forte e inciampavo nei suoi piedi. “L’acqua
non deve stare mai ferma”, mi ha detto lei, “l’acqua
deve muoversi; mi piace l’acqua che corre, l’acqua
che si muove”. Volevo guardarla e chiederle perché non
le piacesse l’acqua ferma, ma avevo la testa
schiacciata contro di lei dal suo braccio, mentre con
l’altro – sentivo - si soffiava il naso.
Appena arrivati a casa ho aperto il tubetto di cibalgina
e ho fatto uscire le formiche sul comodino; ce n’erano
tre. Poi ho preso il bicchiere con l’acqua e
gliel’ho rovesciato
addosso. Hanno iniziato a galleggiare, travolte da
quelle poche gocce d’acqua. Che saranno mai due
dita di acqua. Sembravano impazzite, con quelle zampette
che annaspavano nell’acqua e nell’aria,
con le antenne che cercavano di trovare qualche cosa
per aggrapparsi, ma erano completamente sommerse da
quella valanga di acqua che le trascinava via.
L’acqua è arrivata
fino al quaderno che avevo sul comodino, una formica
ci ha sbattuto contro e ci si è aggrappata.
Sembrava che avesse il fiato grosso, quando ci si è appesa.
Il quaderno si è inzuppato.
Ho messo il dito
a biscotto, per tre volte, e le ho scagliate contro
il muro.
Erano le ultime tre formiche che avevo.
Non la finisce più di piovere;
mi sa che, se continua così, domani la mamma
non mi porterà a vedere la festa con la sfilata
dei soldati.
Speriamo che esca presto il sole, che
potrò uscire e catturare un po’ di formiche.
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