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GIACOMO MARCHI
"Formiche "


Io gioco sempre con le formiche. Mi piace giocarci perché/
Quando siamo arrivati qui a Firenze avevo paura che non ce ne fossero. Mia mamma mi diceva “Vedrai che ce ne sono tante anche là”, ma non sono come quelle su, quelle con la testa rossa che mordono. Quelle che sono qui hanno tutte la testa nera. Forse quelle rosse stanno solo sulle montagne.
Appena sono entrato nella casa di Firenze, mio zio mi ha detto “Vieni, vieni a vedere la tua camera”. Sono entrato e mi sono messo subito a cercare sotto il letto e dietro al comodino, ma invece delle formiche ho trovato/
Mio papà di lavoro fa le dighe.
Mio papà di lavoro faceva le dighe. Faceva il ferro per le dighe. Lo tagliava e lo piegava, ma io non l’ho mica mai visto il ferro nella diga. Ora papà è in un posto dove si riposano tutti quelli che fanno le dighe, perché hanno lavorato molto e devono riposarsi molto. La mamma però non sa quando ritornerà.
Lui a volte mi portava sopra al monte, a vedere il lago e la diga che aveva costruito; camminavamo per un sentiero nel bosco. Mi faceva salire sulle spalle, perché diceva che il sentiero era troppo ripido e pericoloso, e si poteva cadere giù, rotolando anche fino al lago, e mi diceva che il ferro era tutto dentro al cemento. Il cemento era pieno di ferro. Io infatti vedevo solo il cemento, e c’era sempre vento lassù, su quel sentiero, un vento fortissimo che sembrava volermi strappare i vestiti di dosso. Mi diceva “Tieni la mano sul cappello, sennò ti vola via”. Mentre parlava col suo vocione mi vibravano le cosce che gli stringevo intorno al collo.
In fondo al monte c’era quel bel lago e quella piccolissima diga di cemento. Di cemento e ferro.
“Papà, quando andiamo a fare il bagno nel lago?”, chiedevo. E lui si metteva a ridere “Guarda che non è un lago; e poi, neanche sai nuotare. Non hai paura di annegare?”, mi rispondeva con la sua voce grossa grossa.
Io papà me lo ricordo coi baffi, ma nella foto che ha la mamma sul comodino non ce li ha. E’ vestito come un soldato, ma è senza baffi. Spero che ritorni presto, e che abbia ancora i baffi.
Poi siamo venuti a Firenze, io e la mamma; è successo un po’ di tempo dopo che mi misero in punizione, incastrato tra il tavolo di cucina e la porta della camera di mamma e papà; avevano spento la luce e mi bagnavano; avevano riempito la casa di acqua fredda e non potevo muovermi perché avevo il tavolo addosso. Io strillavo e chiamavo “Mamma, mamma”, ma non mi rispondeva nessuno. Dicevo “Basta, smettila”, ma continuavano a bagnarmi. La mamma è arrivata di corsa, tutta bagnata, e mi ha abbracciato e piangeva; segno che non è stata lei a mettermi in punizione. Forse è stato papà. Non ricordo cosa avevo combinato: sicuramente una delle mie, mi sa che stavo giocando con le formiche sul tavolo, o forse perché/
Un po’ di tempo dopo siamo venuti a Firenze.
Per arrivare in casa nostra si entra in un portone, grande che non arrivo neanche alla maniglia, si cammina in un corridoio che mi piace farci gli urli e batterci le mani perchè rimbomba e la mamma mi dice “Fai piano, smettila”, e poi ci sono due scale: una sale molto in alto, e su ogni piano ci sono due portoni, e una scende. Io e la mamma scendiamo le scale ed entriamo in casa. Per me questa casa è bella: ci sono delle finestre lunghissime. Io mi metto in piedi sul mio letto e vedo le gambe delle persone che passano, vedo la strada e, anche se ci parcheggiano le auto davanti, tra le ruote riesco a vedere il muro del fiume. Se mi abbasso e ci guardo un po’ storto, a volte vedo anche le facce di chi passa.
Sento mio zio, quando viene a trovarci, che dice alla mamma che sta cercando qualcosa di meglio, che questa situazione non va bene, ma lei gli dice che non può permettersi nulla di più. Mio zio non si toglie l’impermeabile, quando sta in casa nostra, e tiene il cappello in mano, senza sedersi. Poi dice alla mamma di non preoccuparsi, che l’aiuterà lui e che una sistemazione migliore si trova. Io spero di non trovarla mai un’altra casa, perchè per me questa è bellissima. Riesco anche a toccare il soffitto con le mani, quando salto sul letto, ma la mamma/
Mia mamma fa la sarta.
Io gioco sempre con le formiche. Le catturo mentre torno da scuola e le metto in un tubetto vuoto di cibalgina che mi ha regalato lo zio.
Le formiche sono intelligenti, gli metto delle briciole di pane e loro sembra che ci vedano, ma la maestra dice che sono cieche. Allora forse sentono l’odore; si avvicinano velocemente al pane e lo studiano un po’ con le antenne, e se è grande ci salgono pure sopra. Si portano dietro dei pezzi enormi da fare spavento. A volte glieli inzuppo d’acqua e loro neanche si avvicinano: forse l’acqua gli annienta l’odore e siccome sono cieche non si accorgono che c’è il pane. Quindi sono intelligenti, ma anche un po’ stupide, perché basta un po’ d’acqua a fregarle.
Un giorno ho visto una fila di formiche che passava dietro al rubinetto, in cucina. La mamma cuciva e non si era accorta di nulla. Ne ho catturate più di trenta e le ho messe nel tubetto di cibalgina.
Mi diverto a mettere le formiche nell’acqua: galleggiano, e se le spingi giù col dito non risalgono più. Ma non muoiono! Le puoi tenere là sotto quanto vuoi e non muoiono mai. Io le spingo sotto l’acqua col dito e inizio a trattenere il respiro. A volte conto anche fino a cinquanta, e mi sento schiantare e incrocio gli occhi per resistere di più senza respirare, ma loro sono sempre lì che muovono le zampette dentro al bicchiere, come se volessero nuotare. Poi scoppio e butto fuori l’aria, inizio a respirare veloce veloce e tiro fuori la formica dall’acqua. E’ incredibile; riparte a camminare come se non fosse successo niente, lascia una riga bagnata sul comodino e se ne va. Sembra un po’ affaticata, ma quando poi/
La mamma cuce sempre roba colorata.
Tutti vestiti a fiorellini e a strisce colorate; da donna.
Li cuce, ogni tanto li tira su, se li appoggia addosso, si va a vedere allo specchio in camera e poi li rimette sulle ginocchia e continua a cucire.
Un giorno ne ha cucito uno azzurro e bianco, con dei disegni che sembravano onde del mare. Allora le ho detto “Mamma, perché non ne fai uno anche per te di questi vestiti, sono più belli dei tuoi”.
“Sì, sì, lo faccio”, mi ha risposto, ma poi ha continuato a mettersi quei vestiti neri che porta sempre.
Il lunedì e il giovedì mi viene a prendere lei, a scuola. Allora attraversiamo la strada e camminiamo lungo il fiume. Io salgo sul muretto e ci cammino sopra, mentre lei mi tiene la mano. Abbraccio i lampioni e ci giro intorno senza mai scendere. Mi piace vedere l’acqua che scorre all’indietro, a volte mi fa girare la testa, mi sembra quasi di perdere l’equilibrio, e la mamma mi stringe la mano e mi dice “Fai attenzione a dove metti i piedi, sennò scendi”.
Un giorno, mentre camminavo sul muretto e mi teneva per mano, le ho detto “Mamma, quando papà ritorna gli chiedo di fare una diga anche qui, così quest’acqua si ferma e diventa un bel lago”.
“Scendi”, mi ha detto lei, e mi ha tirato giù; ma non eravamo ancora a casa, però sono sceso.
Mi ha abbracciato e abbiamo continuato a camminare, ma io camminavo male, perché mi stringeva forte e inciampavo nei suoi piedi. “L’acqua non deve stare mai ferma”, mi ha detto lei, “l’acqua deve muoversi; mi piace l’acqua che corre, l’acqua che si muove”. Volevo guardarla e chiederle perché non le piacesse l’acqua ferma, ma avevo la testa schiacciata contro di lei dal suo braccio, mentre con l’altro – sentivo - si soffiava il naso.
Appena arrivati a casa ho aperto il tubetto di cibalgina e ho fatto uscire le formiche sul comodino; ce n’erano tre. Poi ho preso il bicchiere con l’acqua e gliel’ho rovesciato addosso. Hanno iniziato a galleggiare, travolte da quelle poche gocce d’acqua. Che saranno mai due dita di acqua. Sembravano impazzite, con quelle zampette che annaspavano nell’acqua e nell’aria, con le antenne che cercavano di trovare qualche cosa per aggrapparsi, ma erano completamente sommerse da quella valanga di acqua che le trascinava via.
L’acqua è arrivata fino al quaderno che avevo sul comodino, una formica ci ha sbattuto contro e ci si è aggrappata. Sembrava che avesse il fiato grosso, quando ci si è appesa. Il quaderno si è inzuppato.
Ho messo il dito a biscotto, per tre volte, e le ho scagliate contro il muro.
Erano le ultime tre formiche che avevo.

Non la finisce più di piovere; mi sa che, se continua così, domani la mamma non mi porterà a vedere la festa con la sfilata dei soldati.

Speriamo che esca presto il sole, che potrò uscire e catturare un po’ di formiche.