Un giorno mentre me ne stavo in adorazione di Dio fra la paglia, udii una voce bassa, che sembrava provenire dalle viscere della terra e il cuore mi fece un balzo. Il Signore Gesù mi parlava, chiedeva di seguirlo. Infatti la voce diceva: - Non aver paura, vieni! Ma prima che potessi riavermi dalla sorpresa e dallo spavento, un’altra voce, più acuta, che subito riconobbi per quella della Liduina, rispondeva: - No, Bebbe no, ho paura, se ci vedono! - E Bebbe continuava: - Dai, non far la grulla. Son tutti nei campi e le donne sono in casa. Me non m’ha visto nessuno, io sono sicuro.- Ma la Liduina continuava a piagnucolare, e allora io deluso che non fosse Gesù a parlare a me, ma Beppe della Vedova alla Liduina, proprio quello che aveva tirato la coltellata a nonno Liseo, uscii fuori dalla “buchetta” e mi misi a urlare: - Io vi ho visto, io vi ho visto! - e poi me la detti a gambe per paura che me le suonassero sode. Sentii la Liduina strillare e Beppe che mi minacciava di mettermi le budella in mano. A quella minaccia, invece di correre più forte per la paura, mi fermai di botto al limite dell’aia e gridai con quanto fiato avevo in gola: - Come facesti a nonno Liseo eh? Fascistaccio!
La Liduina raddoppiò gli strilli, non capivo se ce l’aveva con me o aveva paura perché l’avevo scoperta, e io ripresi la strada verso casa con passo tranquillo. Ma tranquillo ci restai poco perché dopo qualche minuto piombò in casa Beppe della Vedova e si mise a urlare con la mamma: - Chi glie le ha dette quelle cose al ragazzo, vorrei sapere chi glie le ha dette, e poi mi ha chiamato fascistaccio, siete un covo di rossi, ma non finisce qui, no, non finisce, rapporterò tutto al Segretario del Fascio! -La mamma, che non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, guardava me e guardava Beppe della Vedova senza il coraggio di aprire bocca. In quel momento entrò la Liduina e si buttò addosso a Beppe: - Lascia perdere, è un bambino, non sa nemmeno quello che dice.
- E allora come fa a sapere quelle cose - si invelenì Beppe.
- Quali cose? - chiese allora la mamma.
La Liduina aveva appoggiato la mano sul braccio di Beppe, per calmarlo, e rivolta alla mamma, con voce bassa disse:
- Sai, era rimpiattato nella buchetta dei pagliai e ci ha fatto paura, allora Beppe per scherzo gli ha detto: se ti piglio ti metto le budella in braccio. E allora lui ha risposto: come facesti a nonno Liseo, e poi lo ha chiamato fascistaccio. Da noi non ha imparato di certo - concluse e guardò la mamma come a cercarne conferma.
- Figurati da noi - fece la mamma. - Chi siamo, tu lo sai - e si rivolse a Beppe. - I bambini ripetono quello che sentono dire. L’avrà sentito dire.
- Da chi? Da chi? - aveva ricominciato a urlare Beppe.
Io mi ero rannicchiato sulla panca nel canto del fuoco e avevo una gran voglia di dirgli: - Si, me l’ha detto zio Momo, e quando Capone batterà la culata si farà festa - ma capivo che non dovevo dire nulla.
La mamma mi guardò con occhi di fuoco: - Chi te l’ha dette quelle parole, qualcuno te le deve aver dette, sputa! - e io capii che sapeva già chi me le aveva dette, voleva solo che fossi io a confessarlo. Ma restai zitto, col capo basso, come se non dicesse a me. Il cuore mi batteva, se mi avessero picchiato forse l’avrei detto, non ero sicuro di resistere.
- Lo so io chi te l’ha dette, lo so io - fece poi quando si accorse che non avrei fatto pio - quel vecchio bischero te l’ha dette, ecco chi è stato. E’ lui la nostra dannazione, è lui, - si mise a urlare più forte, e intanto sull’uscio di casa erano arrivati anche tutti gli altri, i ragazzi, le bambine, le donne e anche qualche uomo, tutti a voler sapere quello che era successo. Vedevo facce scure parlottare, bisbigliare, scuotere il capo. Solo i bambini e le bambine mi guardavano ghignando. Allora non seppi resistere e feci linguaccia. La mamma mi vide e mi rifilò un ceffone che mi fece voltare il viso dall’altra parte. Poi riprese: - Quel vecchio bischero che gli mette in capo le idee più strane, me lo vorrebbe far prete, pensate, un maschio prete - come se i preti fossero delle femmine, non riuscivo a capire, e poi non era vero che zio Momo mi volesse far prete, lui non mi aveva mai detto nulla, non avevo mai parlato con lui di queste cose. Allora urlai:
- Non è vero, non è vero, non è stato lui. Io vedo Gesù nel pagliaio, è lui che mi dice di farmi prete.
Vidi la mamma sbiancare, gli altri che mi guardavano come fossi un fenomeno: - Gesù...Gesù ti dice di farti prete, nel pagliaio...oh Madonnina Santa cosa ho fatto per meritarmi questa disgrazia.
Qualcuno, non so se uomo o donna, disse: - Vi conviene portarlo dal dottore codesto ragazzo, non dà nel segno. - Gli altri scuotevano la testa annuendo. Io mi sentii all’improvviso così triste che scoppiai a piangere.
- Ho bell’e capito - fece Bebbe della Vedova - la colpa morì fanciulla, ma la verità si sa solo dai pazzi e dai ragazzi, qualcuno però glie le deve aver dette quelle cose.
- Non hai capito - gli soffiava nell’orecchio la Liduina - è stato quel vecchio bischero dello zio Momo, chi vuoi sia stato, ha un debole per questo ragazzo, di sicuro glie l’ha detto lui.
- No, no non me l’ha detto lui! - urlai forte. Non potevo sopportare che parlassero così di zio Momo.
- Allora te l’ha detto il tuo babbo - fece Beppe della Vedova.
In quel momento anche il babbo entrò in casa. Qualcuno era andato a chiamarlo nel campo.
- Che cosa gli avrei detto io? - fece.
- Che la coltellata a Liseo glie l’ho data io e che sono un fascistaccio.
Vidi il babbo diventare piccino come una mosca, balbettare: - Ma Beppe, che dici, tu mi conosci, ti pare che io vada a inventare codeste cose, e perché poi, se si deve diventare anche parenti...- aggiunse con voce sottile e un risolino che mi fece male, tanto male che non ce la feci più. Svenni.
Quando rinvenni la cucina era vuota. Sentii il babbo che diceva alla mamma:
- Vorrei sapere a chi somiglia questo. E’ svenuto come una donnicchera. Di fronte a tutti. Mi sono vergognato come un ladro in chiesa. Eppure una strada bisogna trovarla, una strada va trovata per fargli cambiar testa.
Restai ancora con gli occhi chiusi, perché non si accorgessero che sentivo. Ma quello che si vergognava davvero ora ero io, mi vergognavo per il babbo, per la mamma, per tutti quei minestroni di cavolo che io sentivo di non essere.
Pensavo a zio Momo, lui non era sceso, non si era mischiato al gruppo, e non sapevo nemmeno se avesse capito o saputo quello che succedeva. Ero un po’ deluso. Avrei voluto vederlo arrivare a prender le mie difese, a dire chiaro e tondo che era tutto vero, la coltellata a nonno Liseo l’aveva data Beppe della Vedova, perché lui l’aveva visto, anche se non aveva mai avuto il coraggio di dirlo. Appunto. Non aveva mai avuto il coraggio. E non ce l’aveva nemmeno ora. Era anche lui un minestrone di cavolo. Del resto me l’aveva detto.
Mi addormentai senza nemmeno che me ne rendessi conto.
Il giorno dopo non vedevo l’ora di correre da zio Momo. Era l’unico col quale potevo parlare liberamente di quella cosa. Anche se non aveva avuto il coraggio di difendermi. Ma la porta di dietro era chiusa a chiave. E io non ebbi il coraggio di bussare.
Più tardi Venanzio mi disse che erano venuti alcuni fascisti a prendere zio Momo. - Sarai contento ora, sarai contento - mi diceva. - E’ tutta colpa tua.
Io ce l’avevo con zio Momo perché non era intervenuto a mia difesa e mi aveva lasciato in balìa di quella marmaglia che non sapevo cosa volesse da me, mentre ero sicuro di aver detto la verità. Affogavo nella confusione. Da una parte, il babbo, la mamma, gli zii, i cugini grandi, anche gli estranei, tutti che mi dicevano, se qualche volta avevano il sospetto non fossi sincero: non si dicono le bugie! E io ne ero anche convinto perché sapevo che a dire le bugie sarei andato all’inferno. Ma dall’altra, per una volta che avevo detto la verità pareva avessi ammazzato Nostro Signore!
Così la bugia la dissi dopo, e negai, negai che fosse stato zio Momo a raccontarmi il fatto della coltellata a nonno Liseo. - E poi non è vero, - urlò la mamma - tuo nonno è morto di peritonite. Lo sanno tutti.- Ma mi coceva che zio Momo non fosse sceso nell’aia, non fosse entrato in casa mia e non avesse detto chiaro e tondo a tutti come stavano le cose.
Non lo vidi per diversi giorni. Dal parlottare che facevano le donne capii che non si sentiva bene, e allora provavo rimorso per lasciarlo solo, potevo andare a fargli compagnia. Ma era troppo pericoloso perché c’era sempre qualcuno che saliva le scale della sua casa e io non volevo che mi trovassero da lui.
- Quel vecchio bischero - diceva Venanzio - se avesse saputo tenere la bocca chiusa non sarebbe successo nulla. - Parlava col babbo, mentre aggiogavano i buoi per andare a prendere un carico di fieno al Poggio di Sotto. Da noi di fieno non se ne faceva abbastanza per le bestie, bisognava farselo dare dai Nelli in cambio di qualche damigiana di vino, perché il nostro era migliore; quello dei Nelli, che avevano molta terra nel piano, era leggero.
Il babbo taceva e teneva il capo basso. Alla fine alzò la testa e disse: - Venanzio, che rimanga fra me e te, qui lo dico e qui lo nego, ma lo sai che in fondo son contento che il mio figliolo abbia detto la verità? Qualcuno bisognava che alla fine lo dicesse. Io non l’ho visto Beppe della Vedova tirare la coltellata al babbo, e il babbo non ha mai voluto dir nulla, forse per difenderci, chi lo sa, ma se zio Momo dice che è andata così, bisogna credergli. E poi la coltellata non se l’è data da solo, via!
- Per l’amor di Dio, non far più di questi discorsi - fece Venanzio guardandosi in giro - i sassi hanno orecchi. Com’è andata è andata. Ormai mettiamoci una pietra sopra e non parliamone più. La Liduina si fidanzerà con Beppe, l’”entratura” è fissata per la battitura, Beppe verrà a far parte della nostra famiglia. Anche se l’avesse fatto, se ne sarà pentito, di sicuro, sennò perché volersi imparentare con noi?
Il babbo riabbassò la testa. Io ero nascosto dietro la conca del ramato, rimasi senza bugicare fino a che il carro non si allontanò. Poi uscii fuori deciso ad andare da zio Momo. Volevo raccontargli che il babbo era contento di quello che avevo fatto. Mi sentivo importante ora, anche se non capivo perché i grandi disapprovassero apertamente quello che poi approvavano in segreto, non mi sentivo solo, abbandonato. In fondo il babbo mi voleva bene. E anche la mamma, forse. Potevo chiederglielo. Ma poi pensai che mi avrebbe rifilato un ceffone e rinunciai.
Mi misi a far la posta davanti all’uscio di zio Momo, quello sull’aia, perché l’uscio di dietro rimaneva sempre chiuso. E questo mi dispiaceva. Mi pareva che zio Momo volesse dirmi: non ti ci voglio! Ma io volevo andare da lui, a tutti i costi. I cugini e le cugine più grandi erano a scuola, gli altri, quei tre o quattro fringuelli come me erano forse fra le gonne della mamma, e sull’aia ero solo.
Ma c’era sempre qualche zia o cugina che usciva dalla cucina per prendere l’acqua al pozzo, o per stendere i panni sul prato vicino all’aia, qualche cugino grande che entrava o usciva dalla stalla. Aspettavo il momento buono, come un gatto che fa la posta al topo, per schizzare nell’uscio.
Una mano morbida, delicata, si posò sulla mia testa. Presi paura. Era il parroco, Don Benvenuti. La sua mano scese sulla spalla e mi strinse leggermente contro il fianco, in un gesto affettuoso che mi fece tutto contento.
- Cosa fai qui tutto solo? - mi chiese.
Io non sapevo cosa dire. Diventai rosso come un gambero. Balbettai: - Oh sor Priore...giocavo.
- Da solo? Dove sono i tuoi cugini?
- Non lo so. In casa. Si saranno rimpiattati in casa - conclusi precipitosamente e arrossii più forte perché avevo detto una bugia.
- Vieni con me, andiamo a trovare zio Momo - fece il parroco.
A quelle parole pensai che il cuore volesse scoppiarmi, non volevo credere che fosse vero, che potessi andare da zio Momo con Don Benvenuti. Per un minuto pensai che fosse Gesù, Gesù che era sceso per portarmi dal “vecchio bischero”.
Intanto qualche donna si era affacciata sull’uscio e salutava il prete. Gli uomini invece erano spariti. Anche la mamma si affacciò, e dopo aver salutato mi chiamò in casa.
- Non ti dispiace se lo tengo un po’ con me, vero? - disse allora Don Benvenuti con un largo sorriso. - Non aver paura, non te lo sciupo. E poi, se Dio ha deciso, ha deciso. Né tu né nessuno potete farci nulla. Lasciamo fare alla misericordia di Dio.
La mamma mugolò qualcosa, non capii, ma non mi parve contenta. Rientrò in casa e sbacchiò l’uscio. Io mi strinsi ancor più contro la tonaca del prete. Quell’odore di cera e incenso che emanavano i suoi abiti mi piaceva, era l’odore della Chiesa. Tenevo il viso affondato nelle pieghe della tonaca e respiravo forte.
Il prete si rivolse alle altre donne. - Allora vengo oggi a otto e dire il ben di maggio, fatemi trovare tutto pronto.
- Non si preoccupi Sor Priore - fece la Liduina. - Si farà un altarino coi fiocchi!
- Ah giusto te - fece il parroco - è vero quello che si dice? Hai trovato la scarpa pel tuo piede?
- Ma sor Priore! - esclamò la Liduina e scappò sculettando.
- Speriamo sia quella giusta - sentii Don Benvenuti che diceva piano.
Salimmo le scale. La voce di zio Momo ci raggiunse a metà scala:
- Chi c’è ora? Ho già detto che non ho bisogno di nulla!
- Nemmeno di me? - tuonò il prete.
- Don Benvenuti, chi t’aspettava! - fece zio Momo. Intanto eravamo arrivati in cima alle scale ed entrammo in cucina. Zio Momo era lì. Seduto alla tavola nera unta di grasso un bicchiere pieno a metà di vino.
- Sei sicuro sia codesta la cura giusta? Non dovresti approfittare troppo dopo quello che hai avuto.
- Bada lì, una purga. Ho cacato l’anima, ma poi è tutto finito. - Mi vide. - Cincino! - e con la mano fece un gesto di minaccia scherzoso. - Ma dovevo immaginarmelo, tu non sei un minestrone di cavolo!
Io non sapevo che dire. Stavo attaccato alla gonna del prete senza spiccicar parola. Poi Don Benvenuti si sedette su una sedia di paglia, zio Momo prese un bicchiere dall’acquaio, lo sciacquò con un po’ d’acqua presa con un mestola dal secchio di stagno, poi tornò alla tavola e lo riempì a metà di vino.
- Se gradisci - disse rivolto al prete. E in quel momento mi accorsi che i due uomini si davano del tu. Rimasi colpito, perché nessuno dava del tu al parroco. Allora pensai che zio Momo fosse una persona veramente importante.
- Credi sia bene parlare davanti al ragazzo? - fece zio Momo.
- L’ho portato apposta. In fondo lui non ti ha tradito. L’hanno detto gli altri, non lui.
- Sono tutti dei poveri zozza. Hanno paura della propria ombra. E poi la Liduina.
- La Liduina non c’entra - fece il prete. - L’amore è l’amore, lei non ha colpa. Ma Beppe, lui che sa quello che ha fatto, poteva risparmiarsi la sceneggiata.
- E a me la cagata! - rise zio Momo. - Avesse avuto almeno il coraggio di essere presente. No, lui non c’era. Così domani potrà dire che non c’entra, che il Segretario era venuto a saperlo da altri e non aveva potuto farci nulla.
- Che potrebbe anche essere vero, chi lo sa. Ricordati, solo Dio può giudicare.
- Sei venuto perché perdoni? Non perdono! Non penso a vendicarmi, tu lo sai, non sono il tipo. Ma non penso nemmeno a dimenticare. Lo sai cosa mi diceva quel f… non farmi dire eresie! E davanti al bambino! Mi diceva, bevi bevi amicone, un po’ d’olio non ha mai ammazzato nessuno!
Il parroco scoppiò in una risata: - Mi par di vederla tutta la scena. E tu a bere.
- Ridi, ridi. Cosa dovevo fare? L’eroe? A parte il fatto che me l’avrebbero infilato giù per gola lo stesso, c’erano due bestioni in montura, non erano di qua, col bastone di caucciù. Dovevo farmi romper la testa?
- No, scusa. Ma la cosa sembra buffa se non fosse tragica. E questa gente crede di cambiare il mondo, non ci pensi?
- Purtroppo il mondo lo cambierà davvero. Perché questi ci portano alla guerra, e tu lo sai.
La parola guerra mi fece scorrere un brivido lungo la schiena. Non sapevo cosa fosse, ma il suono stesso della parola era carico di minacce e mi fece paura.
- Oggi a otto tornerò per il ben di maggio - disse il parroco. - La Liduina è tutta contenta, non sciupiamogli la festa.
- Contenta lei! Per me il mio l’ho avuto, mi basta per un bel pezzo - e rise di cuore zio Momo, mentre guardava me con gli occhietti vispi e cisposi. - Allora intesi eh Mimmino, d’ora in poi acqua in bocca e mosca!
E io sentii di essere importante, perché i grandi, i migliori dei grandi, mi facevano parte dei loro segreti. Seppi allora che non li avrei più traditi, neppure involontariamente.
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