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LUIGIA BENCIVENGA
"Musica anondina"


Il fedele servitore del maestro pesarese salì in carrozza. Assicuratosi di aver preso tutto il necessario, sistemò la giacca e si mise a sedere accanto alla bara, destinazione cimitero di Santa Croce.
Era da vent’anni che aspettava di partire. Ci volle più di un diplomatico per sbloccare quella pratica di trasporto salme tra Francia e Italia che si contendevano i resti di un musicista. I francesi sostenevano che un uomo va sepolto dove perisce soprattutto se in quel luogo egli aveva preferito stabilire residenza d’affetti. Gli italiani rispondevano, Se non ce ne siamo curati troppo è perché avevamo altro a cui pensare, siamo una nazione giovane, i confini ancora incerti, qualche patriota e un manipolo di reazionari. Alla fine fu deciso che Santa Croce sarebbe stato il luogo giusto per i resti di Gioacchino Rossini.
In tal modo, il fedele servitore, rimasto nella residenza di Paissy, quel giorno poté rendere l’ultimo servizio al padrone. La carrozza partì, sei i cavalli, due i conducenti e poche le soste programmate.
Se a qualcuno potesse interessare, Tonino Scanavini era un metodico uomo della provincia napoletana, trovatosi nei dintorni di Parigi per caso proprio quando nel 1855 il padrone vi acquistò una deliziosa casetta di campagna. A quel tempo Tonino compiva vent’anni e per i successivi dieci rimase alla corte di quell’uomo a volte triste, a volte lieto. Responsabile dell’igiene della casa, della qualità dei cibi e dei vini, delle razioni delle medicine, a volte intermediario finanziario, servitore di pasti, gestore di cuochi e servette, consolatore discreto di mogli, custode di segreti: questo e poco altro era Tonino. Mentre serviva, perduta la giovinezza, acquisiva quella strana esperienza tratta dalle vite degli altri. Non se ne preoccupava, sentiva alta la missione di primo servitore del più grande musicista mai esistito. I libri a venire avrebbero citato il suo nome, non a tanto poteva aspirare l’umile figlio di un padre imprecisato. Senz’arte né scienza alcuna.
A dire il vero, erano vent’anni che il maestro era stato sotterrato e nessuno aveva mai chiesto la sua opinione. Se avesse saputo scrivere con lo stile bello di un redattore del Corsaire, di certo ne avrebbe avute di storie da raccontare! Ne era sicuro, in Italia staranno ad aspettarlo decine di editori. Chi non vorrebbe conoscere i piccoli dettagli della vita di un genio? Passando in rassegna tutta la meschina intimità del padrone - evitando di menzionare le frequenti strigliate, i rimbrotti incresciosi, i ceffoni gratuiti - era trascorsa sera. Il conducente sostò per la notte in una taverna sulle rive brune della Soana. La gente di quel luogo sembrava annoiarsi sui calici di un vino caldo. Come programmato, Tonino lasciò la compagnia che s’era formata, i discorsi rozzi e persino una donna che s’era proposta per passare della cera sul legno della custodia del morto. Avrebbe fatto questo per tutta la durata del viaggio.
L’indomani la carrozza avrebbe ripreso il percorso. Il tempo mutava e costringeva i pellegrini a frequenti soste presso improbabili alberghi. Alla pioggia si alternò la neve e invano Tonino tentò di scaldare le cosce dei cavalli infreddoliti. Come quando massaggiava le caviglie gonfie del maestro lamentoso che tra un dolore e l’altro componeva musica senza badarci troppo. Era musica per sé. Talvolta come un folle diceva, Ecco questa sogliola imburrata per vecchi malati, vale un titolo di un pezzo per pianoforte. Poi se ne stava seduto per giorni in una camera poco illuminata ad aspettare che il dolore svanisse o ne succedesse un altro, di diverso nome.
Tonino, dopo tutto quel da fare con i cavalli, cominciò a tossire. Una donna aspra se ne accorse, lo costrinse a mettersi a letto con le gote rosse e le viscere in subbuglio. Un dottorino, ispezionato il corpo del malato, annunciava una brutta sentenza. Per fortuna, Tonino aveva imparato a non dar troppo credito ai medici. Il dottor Gruigny, un tizio che chiedeva al padrone soldi con l’interesse, nel 1863 sentenziò che quelle bronchiti, quelle febbri, quelle saturazioni intestinali, sarebbero state fatali. Al maestro non restava che il tempo di pregare e bestemmiare. Poi si mise a scrivere una Messa per placare il dolore sconosciuto che gravava sul petto.
Al terzo giorno di febbri e deliri, Tonino s’imbarcò di nuovo per Torino. Sudicio di sudore, chiese al conducente Gerome di portarlo a braccia in un letto. Si sistemarono in Via de’ Tornitori, dalle parti del ghetto. La locanda che lo ospitò valeva quella sosta. A servizio c’era Rosalba che ebbe pena di Tonino, vegliandolo ne tamponava i sudori e cospargeva quel corpo, non più giovane ma neanche tanto vecchio, con un unguento alla malva. Tonino riprese colore sorridendo tra le braccia amiche di una sconosciuta e rivide Olympie, al capezzale del vecchio marito, lei con le carni bianche, la bocca sottile, il seno lieve. La vedeva, di nascosto, lavarsi come fa una signora in una vasca odorosa. Tonino si permetteva pensieri osceni, per poi prostrarsi davanti all’effige della Madonna a chiedere perdono.
Tonino svegliandosi toccò i seni di Rosalba, lei non disse nulla. Signore, posso accompagnarla a Firenze? Non era più un servo. Con una rendita di cinquanta lire al mese fino alla fine dei suoi giorni, i risparmi di una vita risparmiata, era divenuto un signore. Poteva anche permettersela una serva. Ripartirono felici. Un ex servo con la sua serva, una bara, due conducenti e sei cavalli. Durante il percorso, Tonino non si curò di spolverare il sarcofago. Osservò invece le bellezze dell’Italia, e quelle ancora mute della serva, e all’improvviso gli apparve il mare, il sole, l’azzurro del cielo. Rosalba massaggiava i piedi del nuovo signore e Tonino scopriva di essere felice. Poi la tosse, maledetta tosse, e il sangue sul fazzoletto. A pochi passi da Genova, Rosalba chiamò un medico. Stia tranquillo. Andrà tutto bene.
Le stesse parole le aveva udite anni prima. Rossini pronto sul tavolo operatorio. Tre medici intorno. Otto ore per prelevare un grosso masso squamoso e puzzolente che s’era formato nel culo, carcinoma rettale, nello specifico. Ritornato nel suo letto, cambiava tre volte al giorno le lenzuola piene di sangue e bile. Il maestro aveva smesso di lamentarsi, guardava il servitore fedele, fisso o sospettoso. Si aggrappò alla mano, cominciò un silenzioso pianto e, poco a poco, chiuse gli occhi.
Tonino ripercorreva i dolci e tristi ricordi in un letto sconosciuto. Vicini aveva Rosalba e Gerome. La tosse si acquietava, poi ricominciava. Il sangue riempiva la gola. Guardò la finestra e vide che non era ancora tempo di fermarsi. Il Signor Scanavini si alzò da un letto di morte e ritornò a fatica sulla carrozza.
Resista Signore. È vicina Firenze. Sì, è vicina, sento le campane di Santa Maria, le voci delle donne al mercato, e i giardini di un cimitero che accoglierà il mio di signore. Ed io, sarò lì a rendergli omaggio, col vestito della festa, la mia donna, i miei amici e una musica che possa acquietare il dolore.