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testi

GIACOMO LERONNI
"Dopo Monte Oliveto"


*

L’abbazia, il divino che ci elude
cinto dal verde: una pace
che ci guarda dentro a lungo.
Siamo giunti tardi: dobbiamo
anticipare il pasto che sguscerà
poi segreto fra la cisterna
e il pomeriggio stagnante.

Siamo ingiudicabili. Il silenzio
scende fino in fondo, sa
cosa deve toccare, cosa
risparmiare. Risaliamo con lui
sulle sue labbra
distesi, dimenticati. Un varco
ci riporta nell’estate: un’ombra
in cui implode il farnetico
i volti da qualcuno già sondati
previsti
nel loro inconsapevole splendore.

**

Poi, finalmente
ecco la chiesa, corridoi,
scale, la biblioteca assorta
la farmacia. Monaci circospetti
invisibili: è come passare

l’alba da parte a parte
disarmati, non pronti
alla verità del luogo, all’evidenza
di ciò che ci pervade
                 e non si ferma.
Dura poco, comunque: quasi
un’inezia in fondo
                 la luce tanto attesa
che andiamo riluttanti a scrivere.

***

Il ritorno è stato un guado.
Abbandonati, inerti
giocati dalla campagna
che ti avvinghia, ti inghiotte

dimentiche le frenesie
la vacanza un’unghia
che non riesce a graffiare.

Guido nel deserto
abbocco ai miraggi
- un istrice disinvolto
al lato della strada, casolari
inimitabili come infanzie
alberi isolati
nella loro gioia. Scompari
e ricompari ansante
t’informi con puntiglio
il luogo, l’ora, quanto manca
alla stazione di tramonto
al vuoto esorcizzato
con le rimesse del giorno
da sale a sale insieme attraversato.

****

E infine
tu che premi nella notte
ancora lucida, stillante:
calchi il segno
e invadi un sogno incurante
diventando tangibile, carnale

hai lo stesso battito
del tempo, del desiderio
che si ritrova fuori rotta
asciutto, sconnesso nei ricordi

con le fitte, dentro
ancora tutte da annodare.