con le labbra mi prendo e mi porto
a dormire come farebbe
una gatta col figlio togliendogli
il peso; con le labbra muovo
le cose lasciando un odore
di sangue agli stracci,
formare una cuccia
con quello che sono.
*
ma verso sempre il mio tributo
di sangue al mese,
sull’altare sacrificale
non porto un figlio, lo nascondo
nei recessi dove confondo
la mia carne con quella di tutti
noi teneri intrecciati
in questo tarmato consunto tessuto.
*
con le tue carezze ai piedi
come un manto di foglie, aspetto nuda
le ossa oltre la carne,
gemme dell’inverno
mia armatura.
*
la donna canguro, la porta mondo
ha aperto e gonfiato la mappa
e ancora cammina
e parla con una mano
curva alla linea del mare tiepido
che con brevi colpi la chiama
dal profondo; l’orizzonte
sarà rosso molto presto, e crollerà
la cattedrale sorta dalla carne
la cupola portata a compimento
orientandosi alla terra
come a un altro cielo.
*
sono entrata nel mese, nel giorno
nell’istante che porta
alla luce le radici
come semi di un frutto aperto.
Capovolti i miei anni li vedo
nevicare dentro la sfera
che contiene il paese dell’infanzia.
*
Madonna che apri
la tenda e la carne
sola nella compagnia
di due angeli riflessi
capovolti o versati
dalla tua superficie increspata
al tuo azzurro sereno,
tu acqua e tu cielo che s’incurva
all’orizzonte che pensi
con gli occhi abbassati, concedi
alle abbandonate al peso
e alle scosse della terra
due braccia, l’equilibrio
di chi nel precipizio avanza
aprendo le sue mani in una croce.
(Madonna del Parto, Piero della Francesca, Monterchi)
*
aveva gli occhi grandi
per contenere il sangue
che avrebbe colorato il fiume
ed un uomo bambino appeso al collo
come una medaglia lucente;
due angeli all’orecchio
a narrarle il destino,
la mano tagliata insieme all’insegna
e il precipitare d’ossa nell’oscuro
manto che l’avvolge dorata
mentre una linea scarlatta contorna
l’immagine apparsa
ai senesi in ginocchio, quando
tutte le strade e i pozzi
e ogni rigo d’acqua
attendevano il succo
tiepido della carne.
(Madonna dagli occhi grossi, Pinacoteca Nazionale di Siena)
Nota: I versi in corsivo sono tratti da una cronaca anonima.
*
mura che non proteggono
che cedono allo sguardo la città
di sabbia bagnata e tetti
di corallo, torri e campanili
che un’onda facilmente spezza,
sottili come matite
che non arrivano a segnare,
a infrangere il confine d’acqua
e case dove vivere nascosti
o deporre soltanto
le proprie uova molli. Una custodia
da cui sgusciare nudi
e senza voltarsi, per poi cercarla
curvandosi su uno specchio.
(Città sul mare, di Ambrogio Lorenzetti, Pinacoteca Nazionale di Siena)
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