Tutto il frutto dell'ultima stagione
è stato ormai mangiato, e l'animale
sazio calci darà nel secchio vuoto.
Perciò le parole dell'anno trascorso
appartengono solo a quel linguaggio
trascorso, e le parole del futuro
una voce diversa ci riserbano.
(T.S. Eliot – trad. R. Sanesi) 2
Gialla, odora di casa la forsizia, il glicine non fiorito. Le querce vestono i rami di bocciòli rossoverdi, mentre impassibili alle stagioni il vecchio e i giovani lecci e gli abeti più alti, il vialetto di olivi che spunta là dietro. Tornano luoghi d'odori distinti, confusi nei tempi di colori lontani. Il cane di sottecchi ti fissa, s'immagina con te avventure verdi e bianche, corre solo nel sogno. Via la siepe di lauro con le vigne che non ti mostravano, il bossolo e le magnolie tenaci a resistere. Eri in città due ore fa sull'argine del torrente a cercare gallinelle e aironi, ma solo merli, scriccioli e allodole. Piccioni. Hanno ucciso il pesce salterino nella vasca per un triste delfino nel cerchio: dal selvatico all'addomesticato. Neppure un'opera può essere libera. Ora sei qui senza esserci e vedi tra l'erba bassa arsa dal sole improvviso mezzo dinosauro di plastica da quanti anni perduto, non sai. Forse non tuo: di giochi questi prati serbano tracce di tanti bambini, nascondigli perduti e rimossi, e vendemmie lontane che non sono né saranno ancora. Di plastica in plastica i soldatini grigi, marroni, verdi e blu si fanno strada con jeep, carrarmati e cannoni, poi gli indiani e i cowboys, i petardi per il desiderio di realtà nel gioco tra giardini, foreste e deserti rocciosi, agguati rinnovati di giorno in giorno, finché la guerra finisce ma non tutti tornano a casa, tra dispersi e disertori e smemorati che abiteranno per anni luoghi a te sconosciuti. L'erba tagliata profuma di menta e cipollina, margherite recise e tritate, ranuncoli e piscialletto e soffioni: chi più lontano soffierà? Forasacchi ti parlano di amori futuri. L'allergia ti fiorisce in fazzoletti di carta, benedetti farmaci. Dai gigli della zona industriale ad un'altra città: la macchina carica di famiglia in partenza si ferma, ne scende il figliolino che fa il suo bisognino, e dentro sorridono e dicono “Sbrigati”, lui scodinzola felice; un angolo e anche un adulto – che schifo pensa la stessa gente del centro – è nella stessa faccenda affaccendato, tagliato alla vita da una siepe di cassonetti finalmente annaffiata; alla farmacia la conta dei sani e degli insani, chi vuol restare e chi vuol guarire; “prevenire è meglio che curare” lo vedi scritto sui tubi di scappamento e sugli impianti di riscaldamento e condizionamento – un percorso caldo-freddo a secco: pendolarismo uno terme zero. L'acidità del verde passa con un merlo anestetizzato che riflette sul cartellone pubblicitario dall'altra parte.
Tu sei di quel silenzio con cui dio ha impastato la terra,
lasciata lievitare ha dato vita terribile e grandiosa
in armonie asimmetriche di zolle ruvide e complementari,
di quel silenzio lì che non nega o afferma, ma sta
divelto l’aratro di certezze trainato dalle macchine,
di quel silenzio che polmoni inquinati e menti sterili
abboccano come ossigeno fertilizzante,
non ormone immesso a forza per cura coscienziosa,
ma cura inconsapevole, di quel silenzio
che, prima, stava altrove.
Negli occhi hai crudele il tuo mare, al di là delle gialle colline. Finge di essere lago tra coste peninsulari e insulari in un giorno di serenità tremenda, realmente irreale. Rilievi disegnati sull'orizzonte occidentale: non conosci luoghi senza terra sull'asse delle ordinate. Poco mare, troppo mare. Prime volte estive, sfogliate di tappeti elastici, di cinema all'aperto, di Mister Mistero coi suoi buh! notturni, di bagni e di baci e paure. Il sale che sputi dalla bocca emersa, sale a comporre geografie sulla pelle, sole che muta il tuo colore, mai abbastanza. Nuoti controcorrente e nella maschera un altro mondo: rumori che spaventano, ombre che feriscono, sfiorarsi intimoriti. Il muro d'edera e il bruco bioluminescente. Il molo di granchi e dell'unico polpo, ridete: povero polpo, con un retino pescato, e piedi asciutti. Screck, la sua ultima parola.
Tu sei di quel silenzio del seme sopravvissuto ai corvi, ai rovi,
che ha germogliato e scartato il nutrimento
avvolto da terra nera, e bianca, e rossa,
di sangue, di pagine, d’inchiostro,
e sono radici, e tronco e rami
che rendi ombre estive, giacigli invernali
che culli di ruvida corteccia.
Inizia così: Scusate, occhi cerulei, posso, capelli sale e pepe, due minuti? Bicicletta a fianco. Non sono abituato, occhi a terra, prima volta che, per me. Una mano e i suoi giri, lavorate? Ah, l'altra sulla bici, nemmeno io. Scusate, vi racconto, sguardo a destra, avevo un lavoro e non l'ho più, sguardo a sinistra, due genitori anziani e non ci sono più e allora, scusate. La coppia s'imbarazza. Sapete la vita. Non è una cosa che faccio, ma, la coppia sorride. Non è che...? Grazie. Grazie davvero. E buona fortuna, grazie. Prego anche a te, sorrisi. Ma la volta successiva. La volta successiva dite Ci dispiace. E Grazie, grazie comunque. Sorrisi comunque, ma no. Purtroppo.
Tu sei di quel silenzio della neve
che assorbe i colori del mondo
in una notte
per restituirli più brillanti
in un giorno di sole.
Inizia così: Gesù siede alla destra di Dio. Una donna. Gesù è nostro fratello che ha sofferto come noi. Sedeva lì, un attimo fa. Gesù intercede per noi presso il Padre Onnipotente. Sedeva come tutti, nel vagone. Gesù ti ama, mi ama, vi ama, ci ama. Cosa fa? Gesù è morto, viva Gesù. Perché? Gesù non si conosce mai davvero finché non si apre il nostro cuore. Non smette. Gesù sa di tutti noi perché è come noi. Poche persone, qui. Gesù ama il prossimo suo come sé stesso, fallo anche tu. L'unica voce. Gesù è l'azione di Dio Padre Onnipotente. Aveva degli auricolari, prima. Gesù ti vede, ti ascolta, ti parla, ti tocca. Finirà? Gesù è qui, rispondigli! Che freddo qui dentro.
Tu sei di quel silenzio del sangue
che scorre come il tempo,
respiri come stagioni
e porta ossigeno
ai tumori sulle labbra
di amanti inconsapevoli d’amore.
Finisce così: la bicicletta se ne va mentre un negozio chiude all'ora di cena e un altro non apre da tempo mentre la bicicletta va. La pavimentazione di piazza e strade centrali si cambia come non ci fosse un infantile - domai. Il piccione zoppo non si capacita dell'ossessione cement-asfaltatrice e pensa a briciole di rifiuti ancora commestibili al gusto di derivati petroliferi. Le creme profumano di profumi sintetici naturalmente inesistenti che ti fanno battere i denti da unghie su lavagna. La tappofagìa è un evergreen senza mai essere diventata un brand, o un trend, ma nessuno chiede mai una penna tappofagata. Il culo di puffo all'incrocio e in quel tunnel tra case. La bicicletta parcheggiata e allucchettata con la ruota anteriore tipo baccante di Skopas, perché i licei generano mostri e nutrono rettili della mente.
Tu sei di quel silenzio dell’utero
di acqua e respiri
che è dentro e ti avvolge,
custode e custodita
la tua coperta rende la pelle sensibile al sogno
di gocce d’oceano macchiate.
Finisce così: il pensolarismo 3 porta malattie psichiche alle Ville chiuse che osservano le mura cadere con i topi che dagli argini fuggono ad ogni crollo: vorrebbero entrare a teatro d'inverno, la porta è chiusa; di primavera gli basta il tendone in piazza dove uno parla ciarla tarla pensieri di buchi al formaggio. Non ti ascoltano mentre ti ammutini, hanno tappi potentissimi. Le sigarette elettroniche sono masturbazioni che non ti rendono cieco. La politica è il nuovo freepornostreaming. Si alza come tutte le mattine alle 4 e va al bar a lavorare, gli altri sono merde che si alzano quando vorrebbe lui. Si alza come tutte le mattine alle 7 e va in ufficio dai tizi che apprezzano la sua presenza così femminile, le altre sono troie che si vestono come vorrebbe lei. Si alza come tutte le mattine e poi si ammazza. Amen.
Tu sei di quel silenzio che passa tra onda e onda,
dita che scorrono e scuotono
scosse telluriche che serbano memoria delle precedenti
nelle costruzioni geologiche erte quanto profonde
che fagocitano e risputano forme animali e vegetali
dotate di anima.
La finestra fotografa la luna crescente nel bianco di un'unghia. Il legno intarsiato della scrivania soffoca tra libri, fogli, bottiglie, carte, computer, cioccolata, penne, quadri, cd, amplificatore, astuccio, scotch, lapis, portachiavi, trincetto, tappi di sughero, plettri, pile esaurite dita stanche. Ti hanno svuotato. Portami fuori stanotte, verso il centro della città. Così qui ti trovi, nel mezzo della via. Ciò che ti rimane sono le tue negazioni. La neve serberà per poco memoria di te. Verrà la luce che sa di mare. Non guardasti i coniglioli dei vicini morire, né le galline che rincorrevi nell'aia. Divertente il grillo nella piccola bottiglia del succo di pera, la formica che sotto la lente scoppiava bruciata.
Eri in città due ore fa. Orde di sguardi su schermi sorridenti di schermi sorridenti. Messe in scena dei sé-vetrine. Verrà la luce che sa di vetro dopo i profumi dell'olea, ma le montagne han vomitato nubi han vomitato pioggia ha vomitato fango ha vomitato umani han vomitato cemento ha vomitato asfalto ha vomitato petrolio ha vomitato fuoco ha vomitato cancro ha vomitato vita. La luna un mezzo sorriso storto, sbilenco, penco.
Tu sei di quel silenzio che nasce dalla terra,
viene su vite, uva che bianca cresce nel verde,
che d'ambra viene colta alla fine d'agosto, settembre,
e lasciata su cannicci per mesi a passire;
quando la senti la prendi e stringi e spremi fino alla buccia,
e l'anima sgocciola lenta e libera e sporca,
la affidi alla madre a crescere per anni in case di rovere antiche,
di saggi detti;
l'anima sorge così dall'alba lattiginosa,
ed è tramonto cristallino dell'ambra
intravista nell'utero, matura e santa.
Ti sforzi nell'uso delle parole, ed ogni prova una nuova e completa partenza che ti prova una sconfitta diversa: hai imparato le parole esatte solo per ciò che non è più da dire. Non c'è che tentare. Quel che viene, sempre un'altra cosa.
1 Pirofilofobo: piro è stupido in dialetto pistoiese. Pirofilo rimanda anche alla pirofila, oggetto culinario pericolosissimo appena uscito dal forno.
2 T.S. Eliot, Quattro quartetti, Book editore, 2002. Little Gidding.
3 Corrente di pensiero filosofica e multiforme formatasi sulle ferrovie italiane grazie al rimuginìo pendolare.
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