I
(Ritorno all’Elba)
…quando allora venivamo d’estate
e le dune davano il crepacuore
il giorno della partenza.
Lido di Volano, Paolo Lanaro
Dalla terrazza si guardava il mare
con la noia delle cose sempre quelle,
indifferenti a vederlo domato,
dopo la malattia dell’inverno,
quando il mare faceva il forsennato.
Da lì la spiaggia restava nascosta,
si poteva pensare a un panorama
buono, ma sporgendosi un po’ avanti
vedevamo divelte le panchine,
rovesciate come foglie, i massi
di cemento rotolati lontano:
si pensava al mare che giocava a palla.
Sembrava tutto così “naturale”,
anche il ragno che incantava le lucciole,
i gatti che si mangiavano i passeri.
Noi, come loro, uccidevamo topi.
Seguivamo intenti i riti guerrieri
di ragazzi e cani insonni di notte.
Non si riusciva a stare soli al buio:
mi perdevo, nel sogno ricorrente,
fra vicoli infuocati, tutti uguali.
Restava l’ansia sottile del risveglio.
II
(Firenze, La processione dei Magi: meditazioni sul rosso)
…E più tardi
si ode il matto del quartiere col berretto rosso
che sulla strada fangosa canta una canzone triste,
una canzone infantile con molte molte rughe.
Ghiannis Ritsos
L’attesa è di cose straordinarie,
illuminata di rosso, colore
di festa: tigri in compagnia di cervi,
come fossero uguali angeli e uomini
verso la stessa meta.
Fra i pellegrini con il basco rosso,
ammantati i tre magi
che portano bauli di sapienza
e gente senza doni
che porta una speranza.
Col berretto rosso anche l’uomo pazzo
che canta una canzone
triste, la faccia piena di vecchiaia,
triste e macchiato l’abito:
forse canta un ricordo,
forse prega il Signore.
Cammina ai bordi della processione
dove c’è solo fango,
dove nessuno passa.
Non chiede carità, segue una stella.
Dentro un eterno sole arrampicata
lassù Gerusalemme
sembra un castello d’oro.
Noi, i turisti, incatenati in basso,
dove l’aria è più grossa,
di tutti i più miseri,
siamo pianura immobile,
terra rossa pestata dai cavalli.
Disabitato cuore
per troppo tempo da ogni compassione.
III
(Pisa: Piazza dei miracoli: meditazioni sul bianco)
Clonati ancora, e ancora bianchi,
cimitero chiesa torre si alzano dal prato
in mondi di vetro rotondi e paralleli
dove senza stagione scende la neve,
basta con la mano girare la boccia.
E noi abbagliati, obbligati a guardare
la piazza rovesciata che poi torna diritta.
Pende nella posa orientale il turista
quel tanto che serve per mettersi nell’asse
della torre, quel poco che serve a scattare
la foto ridente. Scacciata la luce dal bianco
spinge anche noi a fuggire la malia.
Perlata si rifugia sull’Arno che resta solenne,
rispettosa dei ponti che restano vecchi,
delle case che restano dentro lo specchio.
Scomparso l’impenetrabile bianco,
qui la luce è così, come quella di Delft.
Non so come nasca la luce perlata:
dall’acqua, dalla nebbia sull’acqua,
dai tetti, da quello che si chiama l’insieme?
E dell’insieme misura ogni singola parte
(di queste più di una resterà segreta)
col bilancino il maestro vetraio di Pisa.
Poi soffia bolle di luce estasiata.
IV
(Siena, Palazzo de’ Tolomei: meditazioni sul viola)
Tragitto dell’infanzia
la Pia de’ Tolomei:
passava aria violetta
lì per quei finestroni
e lì per quelle scale
inventavo romanzi
di spose da salvare.
Non capiterà a me -
pensavo - sarò fiore
e insieme giardiniere.
Solitaria come ti scrive Dante
in luoghi che non dovevi abitare,
dove non c’è finestra,
ricorditi di me, pregavi, e ora
il tempo è arrivato di trovare
parole di memoria
per mantenere fede alla promessa.
Ti potrei raccontare
come la donna uccisa appena ieri,
quanto te dimenticata e indifesa.
Tutto è assenza e acqua di palude:
così l’ombra diventa smisurata
nell’attesa, sale sulle pareti
tagliata in mille lame
e così smisurato è lo spavento.
Prigioniera nel tempo del castello,
ti è rifugio il giardino,
ti sono specchio viole del pensiero
così simili a te, sposa del viola.
Destinato fiore e non giardiniere.
V
(Siena, Allegoria del Buon Governo: meditazioni sul verde)
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Dante Alighieri, Purgatorio VI (76-78)
Ovunque per le antiche strade schioccano
i miei passi, sotto un cielo bello, pitturato.
Sono arrivata in tempo dentro l’affresco
per tirare insieme la corda che ci fa liberi tutti?
Con l’abito lungo, sarò l’unica donna della fila.
Che succede al troppo breve tempo? Fa buio.
Perché uomini spersi, seduti senza fare nulla?
Era la mia città dimora del buon governo,
a ciascuno il giusto luogo e giusto compenso
per un lavoro che sapeva fare bene.
Ascolto la ragazza con il cembalo, maestra
fra le danzatrici, e quel suono debole si perde,
perdono i veli della veste la verde trasparenza,
laggiù la campagna non riesce a svegliarsi.
Scende nel paesaggio un silenzio spettrale, infelice.
C’è un contagio di male sul verde delle foglie.
Vive fra le altre case e fra le mura a smerli
(il portone chiuso come fosse per sempre,
sui profili del terrazzo piante sconosciute)
la mia vecchia casa che più non mi ricorda.
Tutto sembra andare verso la parete opposta,
verso l’altro mondo del cattivo governo con le corna,
si trasforma in bile il verde delle colline tonde.
Mi rivolgo a Giustizia come all’ultima madre:
che fai per salvarci, per salvare una speranza?
VI
(Siena, si torna a piedi verso la stazione)
Così pieni di noia e di “finché”
gli amori magri nati dalla costola
di altri disseminati per la vita,
o prenotati come i frecciarossa,
nutriti dall’avarizia delle ore:
da buttare questo mezzo sentire
che invade la città coi suoi rattoppi.
Malata di alberi e di velature,
mi rivesto senza mezze misure
con gli abiti splendenti dell’andare.
Mi va di camminare esagerata
con i ragazzi dell’estate: scendono
per lo stradone affollato dai pini
a passo svelto coi trolley attrezzati
per vacanze senza luogo, né date.
Verso l’amore della prima volta,
che suona sconfinato come il mare.
Metto stivali dalle sette leghe:
seguo quei passi affranta, ma non vedo
che un caldissimo viale del tramonto.
Un’occhiata alla vecchia signora,
al riparo dei muri, con valigia,
verso più brevi stazioni: proprio io
che vo cercando marciapiedi in ombra,
con quasi certa vacanza d’amore.
|