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"RICORDI VARIOPINTI"
Agnese Benassi

        
      Anche se di solito mi sento più a mio agio con il disegno, la pittura, i colori, stavolta ho deciso di usare solo due di questi colori, il bianco e il nero della scrittura, per evocare con le parole tutto un mondo di altri colori che dipingere avrebbe richiesto una tela forse troppo grande.
Molto spesso trovandomi lontana da qui, quando penso alla Valdelsa, alla mia casa, non mi sovviene un immagine particolare o un paesaggio preciso. Al contrario, come in uno dei migliori quadri astratti di Corpora, mi vengono in mente solo i colori e le forme di questa zona, di questa parte di terra alla quale appartengo e alla quale mi sentir˜ legata per sempre. Ed è pensando a questi che, come assaggiando la mia personale madeleine, mi ritornano in mente episodi e ricordi del passato, una mappa colorata di ci˜ che oggi mi fa essere quella che sono.

Bianco e verde
      “ Dov’è?ì
      Mia mamma sembrava decisa a non mollare la presa.
      “ Se qui un c’è, allora tu m’hai a dire ‘nd˜ è?ì
      Io non ce la facevo a dire la verità, perci˜ continuavo a negare l’evidenza arrampicandomi sugli specchi,
      come solo ogni brava bimba di otto anni sa fare.
      “ Un lo so, io l’ho lasciato qui, se un c’è l’avrà preso la gatta.ì
      Sì , certo; un rasoio usa e getta con il quale avevo appena cercato di fare i baffi alla mia sorella maggiore, con il solo e prevedibile risultato di rischiare di sfigurarla, l’aveva fatto sparire la gatta. Plausibile, come no! Complimenti per la più indifendibile delle bugie. Colta dal panico, non avevo saputo inventare di meglio.
      La verità era che non appena mia sorella aveva iniziato a strillare per un misero taglietto ed era corsa da mamma, io avevo spalancato la portafinestra della nostra camera e, con un gesto degno del miglior lanciatore della babyleague di baseball, avevo gettato l’arma del delitto tra l’erba del campo retrostante la nostra casa. Dopodichè avevo richiuso la finestra, giusto un attimo prima che mamma entrasse a farmi il terzo grado, seguita da mia sorella.
      La scusa della gatta non la convinse. Mi fece rovistare la camera da cima a fondo, guardare sotto i letti alla ricerca di quel famigerato rasoio. Poi, quando giudicai di aver fatto trascorrere abbastanza tempo perchè la mia bugia fosse ancora più credibile (eh sì , la disperazione fa diventare diabolici...) mi girai verso la finestra e dissi, cercando di dare alla mia voce un tono il più candido possibile:
      “ Mamma... la vedi anche te quella macchia bianca là, in mezzo all’erba? Un potrebbe esse’ quello i’ rasoio? Ce l’avrà portato la gatta...ì
      Mia madre prima guard˜ fuori, poi rivolse a me uno sguardo dubbioso, come a dire che per quella volta mi era andata bene, poi...
      Poi da qui il ricordo svanisce, ma non ha molta importanza. Di quel giorno sono rimaste la paura, il senso di colpa, la consapevolezza di aver fatto qualcosa di sbagliato... tutte sensazioni che ognuno di noi ha provato da bambino. Nonostante ci˜, nonostante in quei momenti abbia sperimentato il più forte batticuore che io ricordi, l’immagine più nitida di quell’episodio è quella macchia bianca in mezzo al verde, e non porta con sè sentimenti negativi, ricordo solo che quell’erba, che oggi non c’è più, era proprio di un bel verde...

Rosso - rosa papavero
      “ Sotterratemi là.ì
      Anche mia nonna era irremovibile.
      “ Sotterratemi là, ho detto. Così da llà posso venì a occupammi della ‘asa.ì
      “ Làì era il campetto accanto a casa nostra, al di là della strada, da dove in effetti, liberamente interpretando le credenze popolari, mia nonna credeva di poter tenere d’occhio la casa e mandare il suo spirito in caso di bisogno. Una buona pensata, senza dubbio; abbiamo avuto il nostro bel da fare a convincerla che forse
      qualcuno non ci avrebbe dato il permesso.
      In quel campetto, sempre in tenera età, andavamo io e mia sorella a fare qualcosa che il mio animo ambientalista oggi depreca.
      Quando arrivava la primavera, il campetto in questione, come molti altri, si riempiva di papaveri. I papaveri, come tutti sanno, sono rossi. Bellissimo e tipico, il rosso papavero.
      Non ricordo come sia iniziato questa specie di gioco, ma lo attribuisco alla tipica curiosità infantile; fatto sta che noi due ci divertivamo ad aprire i boccioli di papavero per vedere di che colore fossero. Eh già, perchè non erano tutti rossi, ma molti erano rosa, rosina, alcuni molto chiari.
      Noi ne eravamo affascinate: com’era possibile? Se i papaveri erano rossi, perchè i bocci erano rosa? La nostra curiosità assunse la forma di un esperimento scientifico che necessitava di una quantità innumerevole di campioni di prova e conseguenti tabelle statistiche:
      chi ne aveva trovati più rosa? E chi più rossi?
      E così , in nome di un quesito scientifico per noi allora di fondamentale importanza, abbiamo impedito ad un altrettanto innumerevole quantità di papaveri di sbocciare e tingere ancor più di rosso i nostri giorni primaverili.

Onde verdi, dorate, marroni...
      Sulle onde di solito si fa surf.
      E se non siamo fisicacci alla californiana, di solito le onde si cerca di saltarle perchè l’acqua fredda non ci sbatta sulla pancia, facendoci mancare il fiato; oppure il tentativo fallisce e ci prendono in pieno, rotolandoci fino a riva.
      Da queste parti per˜ le onde che si vedono non sono quelle azzurre spumose del mare, ma quelle delle nostre colline, con l’erba alta mossa dal vento, grano ancora giovane che indorerà d’estate e verrà tagliato, lasciando di nuovo il posto al marrone della terra, maggese che viene rimescolato per una nuova semina e che a volte la mattina presto, quando è umido o è piovuto, “ ribolleì coi primi raggi di sole, lasciando salire una suggestiva nebbiolina.
      Su queste stesse onde è possibile fare un altro tipo di sport, divertentissimo per i bambini veri e per il bambino che è sempre in noi, ma che mette a dura prova la pazienza delle mamme e la forza dei migliori detersivi: rotolare giù per la china.
      Passavamo così intere mattinate della domenica; mio zio che vagava al limitare del bosco con in braccio il suo fucile, sperando di avvistare qualcosa di mangereccio a cui sparare, e noi sorelle e cugini vari che lo accompagnavamo, col solo scopo di rotolarci
      giù da ogni verde china che ci trovavamo davanti.
      Era un insieme di rotolamenti, sghignazzate e imbrattamenti vari sotto il calore di un immancabile splendido sole, ed era semplicemente irresistibile. Non ci stancavamo mai di sdraiarci su un fianco e lasciarci cadere giù, rialzarci, risalire il pendio e poi giù di nuovo, fino a farci girare la testa...
      ...e poi giallo ginestra, azzurro cielo, celestino non ti scordar di me... ci sarebbero tanti altri colori e non solo questi, ma anche profumi, odori, penombre, sapori... più scrivo e più i ricordi riaffiorano, come anelli di una stessa catena, attaccati l’uno all’altro. E dai colori, dal marrone della terra al marroncino dell’uva passa, dolce e zuccherina, all’odore alcolico che emanava nella vecchia soffitta, che quasi ti stordiva...

Mosto dolce zucchero
      La nostra soffitta era enorme, sovrastava tutta la casa ininterrottamente, quindi aveva l’estensione di tre appartamenti.
      Era lassù che stendevamo l’uva ad appassire, su delle apposite stuoie fatte da mio nonno. Lui si faceva tutto da sè, a ben pensare. Anche la nostra casa l’ha costruita lui, insieme a mio padre, soffitta compresa. Lì in quella fresca penombra, le ciocche d’uva distese emanavano il loro aroma dolciastro, ad indicare che ormai erano pronte per essere trasformate da mio nonno
      nel più buon vin santo che io abbia mai bevuto.
      Lui, il nonno paterno, lo ricordo così , seduto in quella penombra sul suo basso sgabello, di fronte ai suoi caratelli, che versava zucchero in una bacinella mentre io gli chiedevo quanto tempo ci sarebbe voluto
      perchè tutta quell’uva diventasse vin santo.
      “ Eeeh, un po'...ì rispondeva lui, sempre enigmatico quando si trattava di carpirgli i segreti del suo prezioso vino. Segreti che sembrava venissero borbottati dal mosto stesso quando bolliva dentro i caratelli durante il suo invecchiamento, e se appoggiavi l’orecchio potevi appena appena sentire...


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