L’auto era salita lenta lungo la strada sinuosa
e bianca, si era fermata quasi al culmine della salita
e ne erano discesi un vecchio ed un ragazzo. Il vecchio
imbocc˜ uno stretto sentiero fra i campi ed il
ragazzo lo seguì dicendo:
“ Nonno, ma dove mi porti?ì
Avrà avuti 18 o 19 anni, il ragazzo, i capelli
biondi e lisci gli scendevano sul collo minuto, l’andatura
dinoccolata e svelta frenava, per stare dietro al vecchio
che camminava lento e curvo accusando i suoi 70 e pass’anni,
vissuti a lavorare sotto il sole cocente o col freddo
pungente.
“ Si va lassù, dove c’è il
cipressoì disse, ed indic˜ il culmine del
poggio dove solitario si ergeva un vecchio cipresso,
messo un giorno lontano a far da “ bandieraì
al culmine del colle. Era da lì che ancora bambino,
pur giocando assieme ai suoi coetanei, in agosto e settembre
aveva fatto la guardia ai ricchi filari di viti, ed
era lì che più grandicelli, nei brevi
intervalli dal lavoro, si riuniva con i ragazzi dei
vicini a fare sogni per il futuro ed a scherzare.
Giunsero, il vecchio ed il ragazzo, ai piedi del cipresso.
Aveva avuto ragione il nonno a voler salire fino lì
. Da quel punto si vedeva un panorama stupendo: ad ovest
colline coltivate a vigna, ordinatissime; a sud invece,
il panorama di San Gimignano, vicino eppure irreale
con le sue bellissime torri, sbucava da un sipario di
viti, inquadrato in una cornice di tralci che formavano
un grande arco e pareva, il panorama, un bucolico quadro
messo apposta in una cornice naturale. Dalla parte dove
nasce il sole, le colline scendevano fino al fiume di
cui s’indovinava il percorso dalla lunga macchia
un po’ serpeggiante delle canne palustri che si
snodava nel fondo valle fra campi coltivati, macchiati
qua e là di abitati e di fabbriche. Lo sguardo
risaliva verso la collina opposta e si beava della dolcezza
di questa, che saliva verde e lenta intercalata da strade
segnate da lunghe file di cipressi e da case ciascuna
con la sua brava macchia di alberi attorno. E ville
e castelli si vedevano nei luoghi più elevati,
a fare da cresta al poggio con le loro torri e gli ampi
parchi ben segnati da piante secolari. Seguitando a
muovere lo sguardo verso il nord, si vedeva sul culmine
di un ripido colle, il magnifico borgo antico di Certaldo.
Dieci, venti altri più piccole e dolci colline
scalavano l’orizzonte, ornate sulla cima da casolari
o da piante. Lontano oltre la fine della valle, fra
le brume si intravedevano le montagne.
“ Ma è magnifico qui! - Esclam˜ il
ragazzo - Se credevo che fosse così bello avrei
preso un taxi,
per portartici, invece d’aspettare di avere la
patente. Quale era la tua casa? “ Il vecchio indic˜
un casolare vicino, anch’esso con la sua macchia
di piante, l’ampia aia ed il “ gozzioì
per abbeverare gli animali.
“ Bello davvero nonno. Ora capisco perchè
il vignettista Giuliano ha detto che: “ quando
Dio fece la
Toscana, era particolarmente in vena.ì
“ Il nonno sorrise : “ Sì , sì
. Dio ci diede una magnifica terra. Così ce ne
innamorammo e come per una bella donna amata, facemmo
sacrifici per poterle fare regali e coccole. Il giovane
non capì o fece finta di non capire. “
Quali regali, e quali coccole?ì
“ Vedi Robertino, se un giorno ti innamorerai
di una donna, vorrai che sia sempre più bella
ed elegante, che vada precisa ed in ordine, insomma
non vorrai che sia sporca e disordinata. Cercherai di
poterla vestire con begli abiti , e poi vorrai ornarla
di gioielli perchè appaia sempre più bella.
Così è per la terra, specialmente quella
che abiti, se ne sei innamorato cerchi sempre che sia
più bella per potere poi godere della sua bellezza.ì
“ Ma questa terra non è nata già
bella di suo?ì Chiese meravigliato Roberto.
“ Sì , non lo nego. Ma una terra nasce
come una creatura, nuda ed incolta e, come questa ha
bisogno di cure e di insegnamenti prima e di belletti
e di carezze poi, perchè si addolcisca e cresca
con te per essere per te, così la terra deve
essere pulita, curata, amata ed abbellita, se vuoi viverci
bene ed in armonia.ì
Sembrava che avesse preso forza da una presenza complice
ed amica, il vecchio e continuava ormai franco nel suo
dire: “ Vedi quell’arco di tralci di vite,
che oggi sono ormai rami solidi, e sembrano incorniciare
le torri? Mi ci vollero cinque anni di cure e di attenzioni
per farlo. E come correvo dopo un temporale a riparare
gli appoggi, a sciogliere e rilegare le propaggini.
Ma mi ero proposto d’incorniciare quel panorama
e lo feci nonostante tutto.ì
“ Bravo nonnino, - fece Roberto - non ti credevo
così determinato.ì
“ E’ come quando piantai la vigna, contro
il parere anche del fattore, perchè piantare
viti in quella sassaia riteneva fosse impresa folle:
dovetti scavare fra questi sassi per più di settanta
centimetri, e mettere le barbatelle con terra più
fertile portata col carro dal piano. Un lavoro che ti
leverebbe la voglia di andare a ballare, la sera. E
non lo dico per farti una critica, credimi. Ma tu sentissi
che vino veniva fuori dall’uva di quelle viti.ì
“ Perchè questa vigna la piantasti tu?ì
Chiese il giovane.
“ Ed anche quell’olivetaÉì
“ Eh, nonno! Ma non avrai mica fatto tutto tu?ì
Disse Roberto ridendo.
“ Noo. Certamente non tutto io. Prima che tuo
padre se ne andasse e volesse che andassi a vivere con
lui in città, ho lavorato tanto su questa terra.
Ancora di più ci ha lavorato la mia famiglia.
Mio padre piant˜ i cipressi lungo la strada, e
quelli sulla cresta del poggio. Il mio nonno, che era
andato col fattore ad imparare a Meleto, che è
una fattoria di là da Castello dove insegnavano
farlo, rese coltivabili dei brutti calanchi dove ci
nasceva solo la ginestra. Oggi, vedi? – disse
indicando un punto più lontano – è
quella collina seminata a fieno. Prima non lo so, ma
altri ci avranno lavorato certamente a dissodare, a
seminare, a tracciare stradeÉ Da nulla non viene
nulla, credi a me.ì
Il vecchio si chet˜ e si mise a guardare la campagna
vicina e lontana. I ricordi gli turbinavano in testa.
Si rivedeva ragazzo, lavorare su quei terreni duri ed
ostili. Si rivedeva discutere col fattore per potere
avere il permesso ad apportare migliorie. Ricordava
le trottate col calesse del sensale per andare alle
fiere a comprare dei buoni buoi capaci di lavorare quella
terra di collina. Ripensava anche a quando incontr˜
la sua Giuditta, ad una festa ed a quando la rivide
alla festa di Santa Fina, ed a quando si erano fidanzatiÉquanto
bene, quanto amore s’erano dati. Ripensava a quando
si erano sposatiÉ che festa e che mangiata, ragazzi!
Poi vennero i figli i quali, cresciuti, non si sentirono
attratti dalla campagna, furono attratti dalla fabbrica,
che rendeva di più e permetteva una vita più
moderna e civileÉPiù civile? Quando Mario,
il maggiore, se ne and˜ in quella città
lontana non volle lasciarlo solo, specialmente dopo
che Giuditta se ne era andata a riposare per sempre
in quella piccola terra laggiù. Volle portarlo
con se in città, Mario, ed anche se la nuova
casa era piena di comodità, con la radio ed il
televisore, anche se i nipotini che nacquero dopo lo
coccolavano e l’adoravano, lui si sentiva un vecchio
cipresso trapiantato e capiva che il primo temporale
lo avrebbe abbattuto.
Guardava, il vecchio, quella campagna, quella casa ed
un infinità di pensieri e di ricordi, ora lieti,
ora tristi gli balenavano nella mente e gli occhi gli
si inumidirono. Ricordava quando ragazzo correva felice
a giocare a rimpiattino nelle macchie di bosso, lungo
la strada. Ricordava le serate di festa in estate a
ballare sull’aia al suono della fisarmonica dell’amico
Tonino. Riandava col pensiero agli abbracci furtivi,
quando, sposo novello, andava col carro a caricare l’erba
che la sua giovane compagna stava preparando nel vallino.
Ed il ricordo gli and˜ anche a quando accompagn˜
per l’ultima volta la sua Giuditta, passando fra
quella doppia fila di cipressi, fino laggiù alla
grande croce del cimitero. Sentiva ora che se avesse
provato a parlare non ne sarebbe stato capace: avrebbe
pianto.
Il nipote, intuendo lo stato d’animo del nonno
, si era chetato ed un po’ in disparte, guardava
il panorama che aveva dinanzi. Pensava a quanto gli
aveva detto il nonno ed ai recenti studi di geografia
e di geofisica e cominci˜ a capire quello che sui
libri non sta scritto, quello che comunque si dovrebbe
capire solo con un poco di raziocinio. E’ chiaro,
quando queste colline emersero dalle acque, dovevano
essere state brulle, ed a poco a poco si saranno coperte
di piante, magari in modo disordinato e discontinuo
Della loro esistenza ne sono testimoni le selve che
numerose coprono questa terra ancor oggi. Ma gli uomini
che poi vennero ad abitare qui, avranno avuto bisogno
di legno e di terra da coltivare, ed avranno abbattuto
le foreste. Non tutte e non indiscriminatamente per˜.
Oggi si vedono tanti terreni verdeggiare di fieni e
di verdi grani immaturi, ma dove la salita si fa più
acuta lasciarono le piante, il bosco. Ed il bosco ancora
oggi regge la collina, in modo che non precipiti a valle,
e da inoltre varietà e respiro al paesaggio.
Nel Medioevo i castelli si dovevano fare in alto per
motivi di difesa, ma se ancora oggi incoronano le creste
dei colli lo si deve comunque all’uomo. E questo
voler decorare le strade di cipressi puntuti, quel volere
degli alberi attorno alle case, non era davvero un segno
d’amore per questa terra?
Roberto capiva ora il concetto d’amore per il
territorio come se fosse stato per una donna, che il
nonno aveva voluto esprimere. Diceva bene il nonno.
Erano gli uomini, i suoi abitanti che avevano reso più
bella e vivibile questa terra. Ed erano dei raffinati
artisti, i suoi abitanti, che avevano “ costruitoì
questa terra come un’opera d’arte, ammirabile
e fruibile. Le pitture e gli affreschi poi, che s’incontrano
oggi ad ogni piè sospinto nelle chiesette e nelle
ville, dicevano anche che il loro amore per il bello
era connaturato e profondo.
Il ragazzo capiva ora ancora di più l’animo
bello e generoso del nonno e gli si avvicin˜ per
mettergli un braccio sulle spalle, come aveva fatto
altre volte per fargli capire il suo affetto. Si accorse
allora, che il vecchio piangeva. Ed una complice solidarietà
col suo avo lo prese, volle consolarlo ma non seppe
cosa dire se non fargli una promessa:
“ Vieni, nonno, andiamo, ormai è tardi.
Ti prometto che torneremo prestissimo, anche per più
giorni, e gireremo per questa tua terra, per questa
bellissima Valdelsa e mi insegnerai quale era il tuo
lavoro, mi racconterai tutte le avventure e tutte le
cose che vi hai vissute. E visiteremo tutte le opere
che vi sono sparse, e mi farai vedere tanti angoli belli
come questo, chissà quanti ce ne saranno, e ce
ne vorranno di giorni. Ho capito anche di che pasta
siete fatti voi Toscani che siete riusciti a rendere
così belle queste colline e ti dico che sono
orgoglioso di discendere da gente simile.ì
Il nonno beveva le parole del nipote e ne provava una
gioia struggente. Dunque anche a lui piaceva questa
terra e ne capiva l’impegno dei suoi abitanti.
Forse avrebbe anche capito che un territorio è
come una compagna, lo si deve amare se vuoi viverci
assieme felici tutta la vita. Sentiva una soddisfazione
interiore ridargli forza e fiducia.
“ Grazie Roberto, grazie.ì Disse guardando
con occhi grati il nipote “ Lo so, l’ho
sempre saputo che avrei potuto contare su di te. Tu
sei come me, sei come eravamo prima: se si poteva aiutare
qualcuno lo si faceva volentieri, e tu ora, credimi,
mi hai aiutato tanto. Insieme certamente, “ ritroveremoì
questa nostra terra. Ora sì , posso andare. Sono
sicuro che, con te, ritorner˜.ì
Appoggiandosi con una mano sul braccio del nipote e
detergendosi le lacrime dagli occhi con l’altra,
prese a discendere, con l’animo rasserenato perchè
sentiva che i sacrifici e le fatiche che lui e tanti
altri da centinaia d’anni avevano fatte per abbellire,
per modellare, per rendere preziosa quella campagna,
sarebbero serviti a farla amare anche dagli uomini futuri
e qualcosa del suo impegno sarebbe rimasto.
Giunse alla macchina e prima d’entrarvi si ferm˜
a guardare ancora, fino lassù dov’era il
cipresso, fino laggiù dov’era la croce.
Il sole che calava all’orizzonte incorniciava
d’oro le colline.
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