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"LASSU' DOVE C'E' UN CIPRESSO"
Mauro Montanelli

        
L’auto era salita lenta lungo la strada sinuosa e bianca, si era fermata quasi al culmine della salita e ne erano discesi un vecchio ed un ragazzo. Il vecchio imbocc˜ uno stretto sentiero fra i campi ed il ragazzo lo seguì dicendo:
      “ Nonno, ma dove mi porti?ì
      Avrà avuti 18 o 19 anni, il ragazzo, i capelli biondi e lisci gli scendevano sul collo minuto, l’andatura dinoccolata e svelta frenava, per stare dietro al vecchio che camminava lento e curvo accusando i suoi 70 e pass’anni, vissuti a lavorare sotto il sole cocente o col freddo pungente.
      “ Si va lassù, dove c’è il cipressoì disse, ed indic˜ il culmine del poggio dove solitario si ergeva un vecchio cipresso, messo un giorno lontano a far da “ bandieraì al culmine del colle. Era da lì che ancora bambino, pur giocando assieme ai suoi coetanei, in agosto e settembre aveva fatto la guardia ai ricchi filari di viti, ed era lì che più grandicelli, nei brevi intervalli dal lavoro, si riuniva con i ragazzi dei vicini a fare sogni per il futuro ed a scherzare.
      Giunsero, il vecchio ed il ragazzo, ai piedi del cipresso. Aveva avuto ragione il nonno a voler salire fino lì . Da quel punto si vedeva un panorama stupendo: ad ovest colline coltivate a vigna, ordinatissime; a sud invece, il panorama di San Gimignano, vicino eppure irreale con le sue bellissime torri, sbucava da un sipario di viti, inquadrato in una cornice di tralci che formavano un grande arco e pareva, il panorama, un bucolico quadro messo apposta in una cornice naturale. Dalla parte dove nasce il sole, le colline scendevano fino al fiume di cui s’indovinava il percorso dalla lunga macchia un po’ serpeggiante delle canne palustri che si snodava nel fondo valle fra campi coltivati, macchiati qua e là di abitati e di fabbriche. Lo sguardo risaliva verso la collina opposta e si beava della dolcezza di questa, che saliva verde e lenta intercalata da strade segnate da lunghe file di cipressi e da case ciascuna con la sua brava macchia di alberi attorno. E ville e castelli si vedevano nei luoghi più elevati, a fare da cresta al poggio con le loro torri e gli ampi parchi ben segnati da piante secolari. Seguitando a muovere lo sguardo verso il nord, si vedeva sul culmine di un ripido colle, il magnifico borgo antico di Certaldo. Dieci, venti altri più piccole e dolci colline scalavano l’orizzonte, ornate sulla cima da casolari o da piante. Lontano oltre la fine della valle, fra le brume si intravedevano le montagne.
      “ Ma è magnifico qui! - Esclam˜ il ragazzo - Se credevo che fosse così bello avrei preso un taxi,
      per portartici, invece d’aspettare di avere la patente. Quale era la tua casa? “ Il vecchio indic˜ un casolare vicino, anch’esso con la sua macchia di piante, l’ampia aia ed il “ gozzioì per abbeverare gli animali.
      “ Bello davvero nonno. Ora capisco perchè il vignettista Giuliano ha detto che: “ quando Dio fece la
      Toscana, era particolarmente in vena.ì
      “ Il nonno sorrise : “ Sì , sì . Dio ci diede una magnifica terra. Così ce ne innamorammo e come per una bella donna amata, facemmo sacrifici per poterle fare regali e coccole. Il giovane non capì o fece finta di non capire. “ Quali regali, e quali coccole?ì
      “ Vedi Robertino, se un giorno ti innamorerai di una donna, vorrai che sia sempre più bella ed elegante, che vada precisa ed in ordine, insomma non vorrai che sia sporca e disordinata. Cercherai di poterla vestire con begli abiti , e poi vorrai ornarla di gioielli perchè appaia sempre più bella. Così è per la terra, specialmente quella che abiti, se ne sei innamorato cerchi sempre che sia più bella per potere poi godere della sua bellezza.ì
      “ Ma questa terra non è nata già bella di suo?ì Chiese meravigliato Roberto.
      “ Sì , non lo nego. Ma una terra nasce come una creatura, nuda ed incolta e, come questa ha bisogno di cure e di insegnamenti prima e di belletti e di carezze poi, perchè si addolcisca e cresca con te per essere per te, così la terra deve essere pulita, curata, amata ed abbellita, se vuoi viverci bene ed in armonia.ì
      Sembrava che avesse preso forza da una presenza complice ed amica, il vecchio e continuava ormai franco nel suo dire: “ Vedi quell’arco di tralci di vite, che oggi sono ormai rami solidi, e sembrano incorniciare le torri? Mi ci vollero cinque anni di cure e di attenzioni per farlo. E come correvo dopo un temporale a riparare gli appoggi, a sciogliere e rilegare le propaggini. Ma mi ero proposto d’incorniciare quel panorama e lo feci nonostante tutto.ì
      “ Bravo nonnino, - fece Roberto - non ti credevo così determinato.ì
      “ E’ come quando piantai la vigna, contro il parere anche del fattore, perchè piantare viti in quella sassaia riteneva fosse impresa folle: dovetti scavare fra questi sassi per più di settanta centimetri, e mettere le barbatelle con terra più fertile portata col carro dal piano. Un lavoro che ti leverebbe la voglia di andare a ballare, la sera. E non lo dico per farti una critica, credimi. Ma tu sentissi che vino veniva fuori dall’uva di quelle viti.ì
      “ Perchè questa vigna la piantasti tu?ì Chiese il giovane.
      “ Ed anche quell’olivetaÉì
      “ Eh, nonno! Ma non avrai mica fatto tutto tu?ì Disse Roberto ridendo.
      “ Noo. Certamente non tutto io. Prima che tuo padre se ne andasse e volesse che andassi a vivere con lui in città, ho lavorato tanto su questa terra. Ancora di più ci ha lavorato la mia famiglia. Mio padre piant˜ i cipressi lungo la strada, e quelli sulla cresta del poggio. Il mio nonno, che era andato col fattore ad imparare a Meleto, che è una fattoria di là da Castello dove insegnavano farlo, rese coltivabili dei brutti calanchi dove ci nasceva solo la ginestra. Oggi, vedi? – disse indicando un punto più lontano – è quella collina seminata a fieno. Prima non lo so, ma altri ci avranno lavorato certamente a dissodare, a seminare, a tracciare stradeÉ Da nulla non viene nulla, credi a me.ì
      Il vecchio si chet˜ e si mise a guardare la campagna vicina e lontana. I ricordi gli turbinavano in testa. Si rivedeva ragazzo, lavorare su quei terreni duri ed ostili. Si rivedeva discutere col fattore per potere avere il permesso ad apportare migliorie. Ricordava le trottate col calesse del sensale per andare alle fiere a comprare dei buoni buoi capaci di lavorare quella terra di collina. Ripensava anche a quando incontr˜ la sua Giuditta, ad una festa ed a quando la rivide alla festa di Santa Fina, ed a quando si erano fidanzatiÉquanto bene, quanto amore s’erano dati. Ripensava a quando si erano sposatiÉ che festa e che mangiata, ragazzi! Poi vennero i figli i quali, cresciuti, non si sentirono attratti dalla campagna, furono attratti dalla fabbrica, che rendeva di più e permetteva una vita più moderna e civileÉPiù civile? Quando Mario, il maggiore, se ne and˜ in quella città lontana non volle lasciarlo solo, specialmente dopo che Giuditta se ne era andata a riposare per sempre in quella piccola terra laggiù. Volle portarlo con se in città, Mario, ed anche se la nuova casa era piena di comodità, con la radio ed il televisore, anche se i nipotini che nacquero dopo lo coccolavano e l’adoravano, lui si sentiva un vecchio cipresso trapiantato e capiva che il primo temporale lo avrebbe abbattuto.
      Guardava, il vecchio, quella campagna, quella casa ed un infinità di pensieri e di ricordi, ora lieti, ora tristi gli balenavano nella mente e gli occhi gli si inumidirono. Ricordava quando ragazzo correva felice a giocare a rimpiattino nelle macchie di bosso, lungo la strada. Ricordava le serate di festa in estate a ballare sull’aia al suono della fisarmonica dell’amico Tonino. Riandava col pensiero agli abbracci furtivi, quando, sposo novello, andava col carro a caricare l’erba che la sua giovane compagna stava preparando nel vallino. Ed il ricordo gli and˜ anche a quando accompagn˜ per l’ultima volta la sua Giuditta, passando fra quella doppia fila di cipressi, fino laggiù alla grande croce del cimitero. Sentiva ora che se avesse provato a parlare non ne sarebbe stato capace: avrebbe pianto.
      Il nipote, intuendo lo stato d’animo del nonno , si era chetato ed un po’ in disparte, guardava il panorama che aveva dinanzi. Pensava a quanto gli aveva detto il nonno ed ai recenti studi di geografia e di geofisica e cominci˜ a capire quello che sui libri non sta scritto, quello che comunque si dovrebbe capire solo con un poco di raziocinio. E’ chiaro, quando queste colline emersero dalle acque, dovevano essere state brulle, ed a poco a poco si saranno coperte di piante, magari in modo disordinato e discontinuo Della loro esistenza ne sono testimoni le selve che numerose coprono questa terra ancor oggi. Ma gli uomini che poi vennero ad abitare qui, avranno avuto bisogno di legno e di terra da coltivare, ed avranno abbattuto le foreste. Non tutte e non indiscriminatamente per˜. Oggi si vedono tanti terreni verdeggiare di fieni e di verdi grani immaturi, ma dove la salita si fa più acuta lasciarono le piante, il bosco. Ed il bosco ancora oggi regge la collina, in modo che non precipiti a valle, e da inoltre varietà e respiro al paesaggio. Nel Medioevo i castelli si dovevano fare in alto per motivi di difesa, ma se ancora oggi incoronano le creste dei colli lo si deve comunque all’uomo. E questo voler decorare le strade di cipressi puntuti, quel volere degli alberi attorno alle case, non era davvero un segno d’amore per questa terra?
      Roberto capiva ora il concetto d’amore per il territorio come se fosse stato per una donna, che il nonno aveva voluto esprimere. Diceva bene il nonno. Erano gli uomini, i suoi abitanti che avevano reso più bella e vivibile questa terra. Ed erano dei raffinati artisti, i suoi abitanti, che avevano “ costruitoì questa terra come un’opera d’arte, ammirabile e fruibile. Le pitture e gli affreschi poi, che s’incontrano oggi ad ogni piè sospinto nelle chiesette e nelle ville, dicevano anche che il loro amore per il bello era connaturato e profondo.
      Il ragazzo capiva ora ancora di più l’animo bello e generoso del nonno e gli si avvicin˜ per mettergli un braccio sulle spalle, come aveva fatto altre volte per fargli capire il suo affetto. Si accorse allora, che il vecchio piangeva. Ed una complice solidarietà col suo avo lo prese, volle consolarlo ma non seppe cosa dire se non fargli una promessa:
      “ Vieni, nonno, andiamo, ormai è tardi. Ti prometto che torneremo prestissimo, anche per più giorni, e gireremo per questa tua terra, per questa bellissima Valdelsa e mi insegnerai quale era il tuo lavoro, mi racconterai tutte le avventure e tutte le cose che vi hai vissute. E visiteremo tutte le opere che vi sono sparse, e mi farai vedere tanti angoli belli come questo, chissà quanti ce ne saranno, e ce ne vorranno di giorni. Ho capito anche di che pasta siete fatti voi Toscani che siete riusciti a rendere così belle queste colline e ti dico che sono orgoglioso di discendere da gente simile.ì
      Il nonno beveva le parole del nipote e ne provava una gioia struggente. Dunque anche a lui piaceva questa terra e ne capiva l’impegno dei suoi abitanti. Forse avrebbe anche capito che un territorio è come una compagna, lo si deve amare se vuoi viverci assieme felici tutta la vita. Sentiva una soddisfazione interiore ridargli forza e fiducia.
      “ Grazie Roberto, grazie.ì Disse guardando con occhi grati il nipote “ Lo so, l’ho sempre saputo che avrei potuto contare su di te. Tu sei come me, sei come eravamo prima: se si poteva aiutare qualcuno lo si faceva volentieri, e tu ora, credimi, mi hai aiutato tanto. Insieme certamente, “ ritroveremoì questa nostra terra. Ora sì , posso andare. Sono sicuro che, con te, ritorner˜.ì
      Appoggiandosi con una mano sul braccio del nipote e detergendosi le lacrime dagli occhi con l’altra, prese a discendere, con l’animo rasserenato perchè sentiva che i sacrifici e le fatiche che lui e tanti altri da centinaia d’anni avevano fatte per abbellire, per modellare, per rendere preziosa quella campagna, sarebbero serviti a farla amare anche dagli uomini futuri e qualcosa del suo impegno sarebbe rimasto.
      Giunse alla macchina e prima d’entrarvi si ferm˜ a guardare ancora, fino lassù dov’era il cipresso, fino laggiù dov’era la croce.
      Il sole che calava all’orizzonte incorniciava d’oro le colline.
     


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