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"UNA DISGRAZIA NATA MALE"
Enzo Linari


       Ci dispiace, la 207 risulta prenotata dai signori Golconde; forse al telefono non mi sono fatto intendere bene per il numero, però le assicuro, signora, che la 217 è una camera con i fiocchi!
       La cosa poteva essere anche vera, a patto di non credere nelle scaramanzie. La signora Banti, già scioccata per il numero sfortunato, diventava furente al pensiero che suo marito fosse uscito dall’albergo per rispondere ad una chiamata del cellulare. Guardandolo attraverso la vetrata, il commissario gli parve come fagocitato dalle notizie che giungevano al suo orecchio.
       Vedi, Mimmo – rispondeva intanto Banti – io quassù a San Gimignano c’ero venuto in gita di piacere, a sentire mia nipote che canta l‘opera. Ma se mi dici che anche il maresciallo dei Caramba di qui è malato, e che tanto il caso finirà a noi, allora mi metto subito in movimento.
       Il commissario, prima di rientrare nella hall, caricò al massimo il proprio sorriso. Passata la mano sul braccio della moglie, ormai quasi calma: – Lo sai? – esordì – Le sirene di prima erano quelle dei pompieri. Pare ci sia stato un grosso incendio. E c’è scappato il morto...

       Sparpagliate sulle piagge all’intorno, le case non avevano corso rischi, e nemmeno i campi di grano, d’un biondo deciso e già spiegazzato dai venti. Le fiamme avevano divorato solo un boschetto di fondovalle, saltando di qua e di là da un tortuoso borriciattolo. Nulla di più lontano da quel grosso incendio che Banti aveva spacciato alla moglie. Pure, in quella striscia nera e puzzolente, il morto su cui indagare era venuto fuori davvero; un cadavere alquanto carbonizzato, su cui la scientifica era pronta ad esercitare le sue arti. Per ora niente documenti, nessuna traccia per risalire all’identità della vittima, a malapena distinguibile tra le stoppie scure e i mozzi. Forse aveva ricercato la compagnia di quel lembo di bosco per appartarsi con qualcuno, forse qualcuno ce l’aveva attirato; forse, più semplicemente, il caso si dilettava a rendere interessante la morte naturale di un povero cristo.
       E se per disgrazia fosse uno di fuori, che so un turista di passaggio, prima che ce ne segnalino la scomparsa saremo alla fine dell’estate!- si provò a suggerire uno dei carabinieri che avevano accompagnato laggiù Banti, ignorando che quand’era pensoso il commissario non tollerava gli interventi.
       Solo più tardi, mentre nella salita di ritorno la loro auto superava lentamente un trattore, sembrò prenderlo in considerazione. – A parte il cadavere, bisogna sapere al più presto se l’incendio è stato doloso oppure no. – intimò Banti all’intraprendente milite, rendendogli ancora più macchinoso il sorpasso.     

       Le prove, probabilmente, sono il sale della vita. Ma quando per cinque volte si riprende l’aria E lucevan le stelle, è segno che o il tenore o il regista hanno avuto dissapori con il dio della musica. Entrambi comunque, mentre si guardavano in cagnesco e a tratti si rincorrevano sulla scena, preferivano scaricare sugli orchestrali la colpa degli insuccessi. La disarmonia si stava propagando tra la piccola folla di curiosi. Qualcuno distraeva lo sguardo, levandolo su alle torri d’un grigio ormai crepuscolare; qualcun altro mormorava che non valesse la pena occultare parte di una magnifica piazza per offrire un palcoscenico a figure così insipide. Una coppia di giovani sposi in viaggio di nozze prese perfino a scambiarsi roventi effusioni.
       Di questo passo non toccherà mai ad Alida! – sbottò la moglie di Banti.
       Io temo anche che ci toglieranno la prenotazione al ristorante. – precisò il commissario, a cui i sopralluoghi mettevano appetito. – Alida la sentiremo cantare domani sera, quando di sicuro darà il meglio di sé.
       La moglie lanciò un’ultima occhiataccia al regista, appoggiato ad un elemento scenografico. Per chi volesse credere ai malocchi, all’uomo il libretto del copione cadde di mano, suscitando la sommessa ilarità di cantanti e musicisti.

       Al ristorante Banti e sua moglie si sentirono per la prima volta parecchi occhi addosso, compresi quelli dell‘armatura che sorvegliava il loro tavolo. Evidentemente il cambio della guardia ai vertici delle locali forze dell’ordine si era risaputo, e tutti guardavano
       con curiosità a chi doveva condurre le indagini.
       E’ uno che parla poco, non mi garba punto – osservava gelido, appena rientrato in cucina, il cameriere che serviva al loro tavolo.
       Però mangia molto, e anche alla vernaccia gli dà sotto: siamo già alla seconda bottiglia – rincarava il cuoco, sporgendosi a sbirciare in sala.
       Quando arrivò a sorseggiare il vinsanto, Banti si sentiva ormai a suo agio. E, per fronteggiare l’altrui curiosità, nulla di meglio che passare all’offensiva con domandine sull’incendio che aveva fatto correre i vigili urbani. Purtroppo, o i camerieri non sapevano nulla, o sapevano tenere la lingua a posto. Quello scarso spirito di collaborazione gli parve condizione sufficiente per negare loro la mancia.      

       L’appuntato dei carabinieri non gli aveva ancora messo in mano la cartella delle risultanze che già Banti si era immaginato il contenuto. L’incendio era scoppiato in più punti contemporaneamente: dolosissimo. Una volta tanto il commissario aveva sperato, ma invano, che il suo intuito lo tradisse. Proprio una bella gatta da pelare, pensava, trovare uno dei tanti piromani che allo scoccare dell’estate rispuntano floridi come la gramigna.
       Appuntato, mi serve una lista delle persone della zona sospettate negli ultimi tempi per questo tipo di reato. Quest’elenco deve scendere dal cielo? Sveglia!
       E la porta aperta, perché qui si boccheggia.
       Nel dire questo Banti si era ricordato che sua moglie Angela, che soffriva il caldo anche più di lui, attendeva una telefonata di conforto in albergo. Temendo di non trovare le parole più adatte a risollevarle il morale, preferì chiamare un collega al laboratorio d’analisi.
       In certi luoghi il telefono diventa, suo malgrado, spia impietosa di una sfaccendata disorganizzazione. Comprati il telefonino, Alfredo, perché mi sono rotto di stare sempre mezz’ora ad aspettare che ti trovino! – disse seccato Banti.
       Proprio te volevo, Angelo. – replicò l’altro senza dare peso al consiglio – Ho tra le mani le budella di quel morto. Un poco bruciacchiate, ma sono gialle limone, ah ah!
       Un cinese, maremma cane, ora sì che sarà facile identificarlo!
       Se t’interessa, quando il boschetto è bruciato gli avevano appena fracassato la testa.
       Gli interessava, eccome, e anche quella notizia non gli facilitava la vita. Perché sui cadaveri dei cinesi se ne dicono tante: che siano abilissimi nell’occultarsi, trovando cimiteri compiacenti o lasciandosi perfino scomporre nell’acido; mai e poi mai s’immaginerebbe però che diano fuoco ai boschetti.
       A tanta estrema stranezza bisognava rispondere con una mossa risolutiva, come richiamare a gran voce l’appuntato dei carabinieri nella stanza.

       Un foglio era arrivato misteriosamente in albergo, sotto la porta della sua camera. Banti aveva imparato, quando lo chiamavano per vie traverse ad incontri, a non dire di no. Con il suo quotidiano sotto braccio, se ne uscì a passeggiare per il corso.
       San Gimignano, in un trafiletto da lui ispirato, aveva appreso della triste fine di un ignoto cinese. Di San Gimignano intanto Banti andava a scoprire le bellezze del museo di arte moderna. Al commissario invero tanto belle non parevano le prime tele, formicolanti di non si sa cosa. Si consolò pensando che non era lì per l’arte.
       Passando al settore della scultura, incrociò solo due visitatori, che spiluzzicavano con gli occhi le didascalie e camminavano con singolare lentezza; viste anche le loro chiome rasate, il commissario li giudicò, benché in borghese, abituati alla divisa. Dopo altri cinque minuti di giretti inconcludenti, finalmente si sentì chiamare. Il bisbiglio veniva da dietro un’opera
       mastodontica, zeppa di finte urne etrusche.
       Commissario! – fece un’ombra seriosa, accucciata dietro il monumento postmoderno. – E’ meglio se non ci vediamo in faccia.
       A Banti non costava nulla acconsentire. E, mentre ascoltava le confessioni dell’ombra, osservò anche i bassorilievi sui piccoli sarcofagi, le rincorse di simboli e intarsi che volevano adombrare il mistero dell‘esistenza.
       L’ombra, insieme all’altra ombra che ora stava lì al suo fianco senza parlare, aveva dato fuoco al boschetto. Ma, siccome con l’omicidio i due non c’entravano nulla, erano pronti a rivelare al commissario quello che avevano visto.
       Il giorno fatidico, i due stavano appiccando l’incendio quando s’udì l’ultimo grido del cinese moribondo. Una banda di cinesi a loro volta aveva appena commesso il delitto che sentì il crepitio delle fiamme. Ancora il tempo di intravedersi, poi chi scappò da una parte chi dall’altra; a rimetterci, solo il cadavere del cinese, rimasto in balia delle fiamme. Ora, per sperare nell’indulgenza del commissario, loro davano anche tutte le indicazioni sul colore e sul modello dell’auto degli assassini.
       Un ultimo bisbiglio, poi Banti rimase solo nella sala, a scrutare le urne.       

Tot capita, tot auto! – sentenziò il dotto vigile, ponendo sotto il tergicristallo l’ennesima multa. Selvaggiamente stipate nei luoghi più impensati, non è da credere che la ressa dei veicoli fosse dovuta allo spettacolo lirico. Da anni ormai San Gimignano conosceva splendori e miserie del turismo di massa, con folle di gitanti allettati da domeniche pomeriggio a passeggiare tra le torri del suo corso.
       Era venuta anche una cugina di Banti da Riva sull‘Ermo, per ammirare le prodezze canore di Alida, e ancor più per guardare languidamente i negozietti. Marina, giunonica donna di quarant’anni divorziata e risposata, dal primo marito aveva preso il vizio di prendere in giro Banti chiamandolo “chiappaladroni”. Stavolta tuttavia, salvato com’era dall’indagine, il
       commissario la congedò con un saluto brusco.

       Ad Altocerro, paese poco lontano da San Gimignano, i carabinieri avevano impiegato parecchio a capire che quella donna cinese, che voleva dichiarare qualcosa ma non conosceva l‘italiano, necessitava di un interprete. Informato della cosa, Banti si era precipitato; prima di entrare nella guardina dell’interrogatorio, aveva fatto la conoscenza con l’interprete, un ragazzo con lentiggini sulle guance e un bel pizzetto da saggio orientale.
       I cinesi, con i loro occhi talora un po’ acquosi, possono trarre in inganno, e forse la donna seduta sulla panca non aveva pianto. A lei Banti fece subito chiedere dall’interprete se le fosse nota l’identità del cinese trovato morto.
       Il commissario osservò con attenzione il volto della donna. Aveva poche rughe,ma non era più giovanissima e, per i gusti di Banti, nemmeno bella. Apparteneva a quella categoria di persone che, con l’avanzare dell’età, trovano nel carattere una fonte di avvenenza. La sua rabbia era tutta nelle labbra, appuntite come cipressi, per il resto non un nervo sporgente, nessun’alterazione del tono di voce. Di lei si erano innamorati due uomini, e quello più violento aveva fatto ricorso anche all’astuzia per eliminare il rivale. A tutti difatti aveva detto che Yu era stato segnalato da una spiata come clandestino, e che lì a Timignano non poteva rimanere. Avrebbe pensato lui, con i suoi amici, a portarlo in un luogo sicuro nel Sud. Il suo piano prevedeva di ucciderlo subito, fingendo poi che il rivale fosse morto in una disgrazia, una rissa nel fatal Meridione. Ma la disgrazia era nata male.
       Banti, il cui ridere di solito inquietava le persone, si sforzò di stare serio. Gli faceva specie però che ci si ammazzasse per una donna così normale: le sue dita erano spellate dai lavori in nero, e il corpo, ravvolto da un abito color ocra, aveva forme tanto sgraziate da sembrare un’anfora. Il commissario si convinse che, se lei era lì a rivelare tutto o quasi, il colpevole fosse già stato fatto sparire in qualche cimitero compiacente, o perfino sciogliendone il corpo nell’acido. I cinesi però ci tengono a far sapere che la loro comunità sa
       applicare la legge; la loro, naturalmente.      

       Nel suo ufficio di Vetus il commissario meditava su un gruzzolo di scartoffie. Squillò il telefono: non era Mimmo, ma un pezzo grosso con le stellette. I nomi, tra gentiluomini, non servono. Poche parole per dire che una delle due ombre incontrate da Banti al museo era suo nipote; doverosa, quindi, la gratitudine per aver chiuso un occhio con gli ignoti piromani. Anche perché, azzardava quella voce stentorea, si fosse rivelato che appartenevano al Corpo... figuriamoci il putiferio dei giornalisti. – Se per caso un domani avesse bisogno di qualcosa, siamo a disposizione. – concluse in tono più mellifluo l’interlocutore telefonico.
       Così il commissario, senza nemmeno faticare, era salito sulla giostra delle raccomandazioni. Tutto per quel nipote poco onesto: proprio vero, parenti rompimenti. Come la sua nipote soprano. Ripensò alla bella opera di Puccini, al fievole canto di Alida, e si alzò per affacciarsi alla finestra. Mancava poco che, già di prima mattina, l’aria avvampasse. Disperatamente lontane tra di loro, come Tosca e Cavaradossi, la guglia sacra e quella profana intagliavano il cielo di Vetus.


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