Qualche anno fa passò per il mio paese una persona che mi avrebbe lasciato qualcosa dentro, veramente. Era un globe - trotter, cioè uno che
gira il mondo a piedi, ovvero un essere che, per me ancora ragazzo, puzzava più di mitologia che
d’umanità: si chiamava Ted Crocodile. E devo anche aggiungere che con lui c’era un
pittore, un certo Frank Dhrose, un norvegese, che a sua volta aveva un suo fascino…
Quel giorno faceva un caldo assurdo, e stavamo, io e alcuni miei amici, seduti alla fonte della Dogana,
lungo la strada che va alla Madonna della Tosse. Perché fossimo lì, di preciso non me lo
ricordo, visto che il nostro posto abituale era –ed in parte lo è ancora- al bar a chiacchierare
e a non far niente. Suppongo si fosse di ritorno da un giro in bicicletta, ma non ha importanza.
Insomma, eravamo lì, quando vedemmo venire dalla strada un uomo abbastanza trasandato, con un enorme
zaino sulla schiena e un grosso bastone; lo seguiva a ruota un altro individuo, più basso, e più
convenzionale, e biondissimo. Fin da lontano li squadrammo, con l’arroganza e il cipiglio dei pistoleri
dei film western, quando vedono entrale lo “straniero” al paese, noi, stupidi ragazzotti!
A dire il vero, più si avvicinavano, più scendeva l’arroganza e cresceva l’imbarazzo,
finché l’uomo con lo zaino non ci fu davanti e, nel modo più naturale possibile, si
presentò: Ted Crocodile, appunto, globe-trotter. Si presentò anche l’altro uomo, nel
suo accento nordico: Frank Dhrose, pittore. Penso che per tutti noi fosse il primo globe-trotter e il
primo pittore che ci capitava d’incontrare nella vita, ed in un colpo solo! Rimediammo alla nostra
prima, impacciata reazione offrendogli da bere dalle borracce, forse seguendo l’istinto degli antichi
contadini che porgevano il fiasco di vino ai viandanti, forse perché era logicamente la cosa migliore
da fare.
Bevvero, poi Ted espose la loro situazione: lui, guarito dopo essere rimasto paralizzato cinque anni alle
gambe, girava il mondo a piedi, doveva andare a Roma, al Maurizio Costanzo Show per portare la propria
testimonianza contro il commercio di organi, e mentre diceva questo, per dimostrare che non mentiva, ci
faceva vedere gli articoli di giornale, perlopiù esteri, che lo rammentavano. Si era imbattuto
in Frank un paio di chilometri prima, cioè era Frank che si era imbattuto in lui, anzi si era imbattuto
in un fosso, in cui era entrato dritto sparato guidando la sua vecchia Citroen, disgraziata macchina,
che eroicamente l’aveva portato dalla fredda Norvegia all’assolata Valdelsa. E così
Frank, dopo aver a lungo imprecato sulla sua auto bloccata nel fosso, aveva visto passare Ted, e aveva
pensato di accodarsi al globe-trotter per giungere al primo paese, se non altro per avere qualcuno con
cui sfogare la propria rabbia e una certa dose di frustrazione, che non dipendeva solo dalla faccenda
dell’incidente, come capimmo più tardi.
Ovviamente, fummo felici di poter renderci utili, e li accompagnammo alla cabina telefonica, prestandogli
anche gli spiccioli. Frank telefonò al Soccorso Stradale, imprecò così tanto in norvegese
quanto non riuscì a mettere su due parole sensate in italiano, e perciò la decisione del
Soccorso fu insindacabile: verremo prestissimo, fra cinque - sei ore. Ottimo!
Tempo dopo avrei spesso ripensato con gratitudine a quel misterioso uomo del Soccorso Stradale, che con
la sua immensa faccia tosta, ci aveva regalato un intero pomeriggio con questi due tipi. Fatto sta che,
sotto il sole cocente, ci avviammo tutti, come in processione, dietro al pittore norvegese che voleva
tornare il prima possibile alla propria automobile. Anche il globe - trotter lo seguiva e lungo il tragitto
parlava con noi, che ovviamente stavamo a pendere dalle sue labbra. Non voglio dilungarmi su cosa disse
di preciso – ma lo farei volentieri!-, comunque, parlò soprattutto dei suoi viaggi e della
gente incontrata. Lì per lì, forse per il nome, forse per quel suo cappello tropicale stinto
e gli occhi azzurri, evocava il noto Crocodile Dundee del cinema. Oggi, a distanza di anni di scuola,
di libri letti e quadri visti, la sua figura è retrocessa nel passato, si è stampata sullo
sfondo della via Francigena e ancora più in là, nel bel mezzo del cammino per Roma o Santiago,
lungo strade polverose d’altri tempi, e ospitali castelli per stranieri. Praticamente, l’ho
visto e letto come un pellegrino dei nostri giorni.
Giungemmo alla macchina, decisi a non lasciarci scappare le due “prede”. Pensando di fare
cosa gradita, chiesi al pittore di mostrarci i suoi quadri.
“Niente” rispose, con l’espressione come a voler scansare la domanda. “Come, niente?”
replicai.
“Niente, non sono riuscito a dipingere niente, qua in Toscana. Li vedete quei tre cipressi lassù?”
Alzammo gli occhi: si che li vedevamo. I soliti, banali tre cipressi spelacchiati in cima alla collina,
con lo sfondo di un celo surreale, d’estate. Cosa intendeva dire? Che, dopo anni d’accademia
in Norvegia, e studi specialistici sugli autori minori toscani, e minuziose e pedanti ricerche sui piccoli
luoghi caratteristici proprio di questa regione (chiese, tabernacoli, torri, fonti, ponti…),quando
finalmente si era deciso a scendere a sud, affittando un autentico antico casolare e lì isolandosi
nell’estrema purezza della natura, si era d’un tratto accorto che aveva perso ogni ispirazione,
ogni abilità: era più capace di creare bellissimi paesaggio collinari di fronte a un freddo
fiordo, che qui, nella patria delle colline, proprio così! I suoi unici disegni? Decine e decine
di schizzi incompiuti proprio di quei tre cipressi, alcuni accartocciati.
Li per lì ci sorrisi, ma di nascosto, per non irritare ancora il pittore, che fra l’altro
era giovane, avrà avuto trent’anni. Poi pensai che a me, sinceramente, di quei tre cipressi
non me ne era importato mai niente, come mai niente me ne era importato delle colline, dei tabernacoli…banale,
ovvia, avevo sempre visto questa terra… Se qualche volta leggevo, rammentati sui libri d’arte
o di storia, i nomi dei luoghi e degli artisti della mia zona, provavo appena un po’ d’orgoglio,
ma non l’effettiva curiosità di conoscerli meglio. Questo sentimento, come me, lo avevano
i miei amici, ed eravamo abbastanza stupiti che qualcuno spendesse tempo e denaro per scendere dalla Norvegia
e venire a dipingere qui. Certo era che Frank, benché di animo sensibile, penso, come tutti i pittori,
non era riuscito a registrare nel suo cuore alcuno sbalzo di pressione nella terra che l’aveva sempre
attratto. Perché?
Lì per lì non avrei saputo dare una risposta certa…Comunque a questo punto fu Ted
che prese una penna ed un foglio, e cominciò lui, con abbastanza spontaneità e velocità,
a disegnare proprio un panorama toscano, con le colline, la strada sterrata e quella asfaltata, il segnale
di STOP all’incrocio, un casolare con una gru al lavoro per restaurarlo, e i benedetti cipressi.
Lo mostrò a Frank, che approvò lo schizzo: “Si, ecco, è un’idea così’
che vorrei rendere, certo è un po’ da rifinirsi, però questo è il modello…”
Le cinque ore di attesa del Soccorso Stradale passarono veloci. Comunque, c’entrò di fare
un tuffo in un torrente che passava lì vicino. A dire il vero, alcuni di noi e specialmente Frank
eravamo un po’ ritrosi a metterci in mutande e bagnarsi, poi, sarà stato il caldo, sarà
stato l’esempio di Ted e dei più “coraggiosi” , ci tuffammo tutti. Io mi stavo
in particolar modo affezionando al pittore. “Lo sai Frank” gli dissi “ che nostri babbi
lo facevano sempre il bagno nel fiume?” Frank mostrò stupore, poi vedevo che mentalmente
stava visualizzando la scena, ed era soddisfatto. Perciò ancor oggi questo episodio mi viene in
mente, con una speranza: che da qualche parte, in qualche museo norvegese, ci sia esposto un quadro di
Dhrose che ha per titolo “Il bagno nel fiume”. Chissà!
Venne il Soccorso Stradale, rimorchiò Dhrose fuori dal fosso, e così lo salutammo. Anche
se con le parole ci salutava, capivo che al sua mente macinava qualcos’altro mentre riguardava lo
schizzo del paesaggio fatto da Ted.
Forse pensava quello che lentamente sono arrivato a capire con i miei amici, in lunghe chiacchierate al
bar, rammentando i due viaggiatori: il senso di questa terra non è solo nei tre cipressi spelacchiati,
nelle antiche pietre miliari, negli affreschi dei tabernacoli persi a sé, slegati dalla fede di
generazioni di contadini…Il senso della vecchia via Francigena, come Ted aveva intuito, è
presente e vivo oggi nella Statale 429, là dove essa non è solo cimitero d’incidenti,
ma ancora mezzo di congiunzione fra i paesi, è vivo dove si cerano nuove opere d’arte e case
i sintonia con la natura, dove i filari di viti non sono pittoreschi, ma danno lavoro… E’
vivo finché siamo ancora capaci di essere ospitali.
E con Ted, fummo ospitali? Cercava un posto dove andare a dormire, finì in una panchina ai giardini.
La mattina seguente ricordo che non c’era già più: passai di lì, presto, in
bicicletta. Forse l’avrà fatto sloggiare un poliziotto, o forse lo bruciava troppo l’impazienza
di raggiungere la sua meta, quale che fosse. In altri secoli, secoli bui, un pellegrino avrebbe trovato,
bene o male, alloggio. Al giorno d’oggi Ted ha trovato un gruppo di ragazzi che gli hanno offerto
da bere e sono stati a bocca aperta ad ascoltarlo.
FRANCESCO CIULLI, primo premio “ex aequo” alla prima edizione del Premio letterario “Castelfiorentino”
anno 1999
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