10 ottobre 1467.
Un acquazzone violento e improvviso si abbatté su due cavalieri che percorrevano,
con i loro cavalli al galoppo, la via Sanminiatese. Non badarono a quell’evento imprevisto e continuarono
desiderosi di arrivare a San Miniato per la notte. Il nubifragio irritò i due morelli e così
ci furono momenti di panico, come se gli animali volessero scrollarsi di dosso quei testardi viaggiatori.
“Fermiamoci lassù!” gridò il più autorevole.
Pochi minuti dopo, mentre cadeva anche la grandine, trovarono rifugio sotto le arcate dio
una stalle prospiciente a un palazzotto fortificato, una specie di grancia. Un bifolco disse loro:
“Venite con me, vi dovete togliere i vestiti bagnati” e li condusse
dentro quella residenza al piano terra.
Un ecclesiastico in abiti signorili li invitò a salire le scale, li fece accomodare
vicino ad un fuoco e ad un servo ordinò: “Porta i vestiti per loro. Non possono stare in
queste condizioni, sono fradici, colano acqua dappertutto…” e rivolto ai due domandò:
“Chi siete? Dove andate”.
“Messere, mi chiamo Benozzo Gozzoli, sono un pittore, lui è il
mio aiutante, Giusto di Andrea, andiamo a Pisa”.
“Ho sentito il vostro nome, Siete quell’artista che ha affrescato
la Chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano?”.
“Anche quella. Voi chi siete, così ospitale e buono?”.
“Il servo di Dio Grazia di Francesco, parroco di Castro Nuovo, amministratore
di terre da Coiano fino a Santa Maria alla Marca. Pernottate qui, il fuoco asciugherà i vostri
abiti. Riscaldatevi, toglietevi tutto, siamo fra uomini. Io intanto, vado ad ordinare la cena per voi.
Vi aspetto a tavola”.
L’indomani, molto presto, Benozzo ed il suo amico, salutarono e ringraziarono Ser
Grazia e poi via, al galoppo, per Pisa dove li attendeva un nuovo incarico: affrescare le pareti nord
del cimitero monumentale.
Ser Grazia si sentì orgoglioso di aver dato alloggio ad un personaggio così
illustre e si pentì di non averlo trattenuto più a lungo, di non avergli commissionato qualche
affresco per abbellire la sua proprietà, per lasciare un ricordo ai posteri. Non perse tempo, fece
sellare il suo baio e accompagnato da un servo fedele, volle raggiungere San Gimignano per vedere con
i suoi occhi i capolavori di Benozzo. Nella Chiesa di Sant’Agostino rimase due ore
ad ammirare gli affreschi che illustravano gli episodi della vita di quel santo. Ser Grazia non aveva
mai visto delle pitture così luminose, innovativa, con i colori vivaci, la profondità, i
visi espressivi, il paesaggio, la prospettiva delle costruzioni.
L’abate di quella chiesa si vantò di aver conosciuto a lungo Benozzo e speigò
al suo interlocutore che la famiglia Gozzoli risiedeva tuttora a Sag Gimignano e poi:
“Sapete, il nostro artista ha affrescato una sala nel Palazzo dei Medici,
a Firenze. E’ amico intimo di Lorenzo, ha conosciuto Cosimo de’ Medici. Certi signori non
danno incarichi al primo pittore che trovano. Vedete voi stesso che capolavori ci ha dipinto! Ma non è
tutto qui…” e mentre l’uomo parlava Ser Grazia era distratto, poi domandò: “Vorrei
conoscere sua moglie e lasciarle un messaggio. Avrei anch’io un lavoro per lui”.
Più tardi l’abate di Sant’Agostino condusse il suo curioso ospite a fare
conoscenza con la famiglia Gozzoli ma non fu ammesso perché la signora aveva avuto improvvisamente
le doglie del parto.
“Avviserò io il nostro artista al ritorno” assicurò
un domestico.
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21 ottobre 1467
Ser Benozzo ed il suo amico Giusto ripercorrevano la via Sanminiatese. Parlarono dell’ospitalità
ricevuta dieci giorni prima dall’abate di Castro Nuovo d’Elsa e si soffermarono ad ammirare
i campi con i seminatori di grano, i fossati privi di sterpi e ben affondati, già pronti per ricevere
le piogge autunnali e far defluire l’acqua all’Elsa senza provocare allagamenti. Le siepi
erano ordinate, le viti, senza più uva, avevano ancora i pampini verdi.
Quell’ordine, quelle linee geometriche colpirono la fantasia dell’artista fiorentino
che trovava grande armonia in quella campagna. Fino a quel momento non aveva ancora deciso se passare
a far visita a Ser Grazia o se proseguire. Si sentì obbligato a sostare
per capire meglio chi fosse questo personaggio e per rilassarsi in quella parte della Val d’Elsa
ancora sconosciuta.
Ser Grazia accolse gli ospiti con commozione e li invitò a pranzo. Fece servire minestra
di ceci, bistecche di maiale e porcini alla brace, e poi vino novello, crostata con marmellata d’uva.
Benozzo e Giusto si accorsero di aver mangiato troppo e subito non si rimisero in viaggio.
Ser Grazia era desideroso di conoscere il passato del pittore, ma era quest’ultimo
a porre le domande al religioso in merito a Santa Verdiana, ai proprietari di quei luoghi, alla vita in
Castelfiorentino e nelle campagne.
“Volete eseguire un lavoro anche per me, messer Benozzo?”.
“Cosa desiderate?”
“Un tabernacolo affrescato lungo la via Sanminiatese, giù a quel gruppo di
case detto Madonna della Tosse”.
“Non è un lavoro da poco, vi chiederò pochi fiorini, però ora
ho impegni gravosi a Pisa. Voi fate costruire la struttura muraria grezza in mattoni, poi, nei ritagli
di tempo, fra uno spostamento ed un altro, vi eseguirò gli affreschi…Cosa ci volete rappresentare?”.
“Qui abbiamo varie chiese dedicate alla Madonna, studiate voi…Maria con Gesù
Bambino, l’assunzione di Maria in Cielo. Siete un grande artista. Vi piace questa campagna, vi sembra
un paradiso terrestre, ecco, mettiamoci nel mezzo un’opera d’arte sbalorditiva…”
“Non subito, il tempo è sempre poco, ho impegni per anni. Devo partire quanto
prima”.
“Restate Messere. Restate ancora un giorno, riposatevi”.
“Non posso. Vi ringrazio, dobbiamo andare”.
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12 ottobre 1484
Ser Grazia di Francesco stava seduto all’ombra di una que4rcia per poter osservare
il maestro Benozzo Gozzoli, aiutato da Jacopo di Cristoforo, esecutore di dipinti a Pisa e dall’inseparabile
amico Giusto di Andrea mentre eseguivano gli affreschi tanto desiderati. C’era chi preparava l’intonaco,
chi i colori, chi stendeva le sinopie e poi veniva il lavoro principale del grande artista che dava vita
e luce a quelle ombre.
Il priore aveva pensato più volte che Benozzo lo avesse dimenticato, oppure si fosse
ammalato. Non sperava più di vedere eseguito un tabernacolo nei suoi tenimenti.
“Vi ho fatto aspettare tanto, Ser Grazia, ma mi ringrazierete…vi farò
spendere poco, siete un amico vero”.
“Le vostre parole mi lusingano, Messere. Il lavoro che avete fatto è bellissimo
e siamo solo agli inizi…”
“Che ne dite priore, del nuovo papa Innocenzo VIII, Giovan Battista Cibo, eletto il
12 settembre, un mese fa?”.
“Penso bene. Sisto IV ha dato fastidio a Firenze, al nostro caro Lorenzo de’
Medici” rispose pensoso Ser Grazia al Maestro Benozzo che aveva smesso
di disegnare e si era avvicinato al priore. Bevve un po’, poi tornò al lavoro salendo sopra
un’impalcatura di legno.
La febbre costrinse il religioso a letto e non si presentò più sulla via Sanminiatese
a seguire i lavori.
Molta gente, passando per la via, si soffermava ad ammirare i pittori che giorno per giorno
davano vita a scene bellissime. Il maestro, con attenzione certosina, sembrava diventato un altro: non
parlava, si bloccava mettendosi a pensare, poi continuava. Il 24 dicembre 1484, vigilia di Natale, furono
tolte le impalcature, i teli di protezione e tutti poterono ammirare gli affreschi del tabernacolo con
al centro la Vergine Maria con il Bambino Gesù fra i santi Pietro, Caterina, Margherita, e Paolo,
poi l’Assunzione di Maria con gli Apostoli intorno al sepolcro vuoto. Qui c’era sullo sfondo,
una piccola città: Castelfiorentino. Nell’altro affresco erano rappresentati i funerali di
Maria e, accanto alla bara, il ritratto di Ser Grazia di Francesco in preghiera.
A differenza delle altre volte, Ser Grazia, per lo stupore, parlò poco, si limitò
ad abbracciare i suoi ospiti dicendo più volte: “Grazie, è un’opera bellissima!”.
Il Maestro Benozzo ed i suoi stavano partendo per raggiungere a Pisa gli altri familiari
per celebrare il Santo Natale del 1484.
“Restate Messere. Arriverete tardi” disse Ser Grazia.
“Tornerò amico, si sta bene da voi” gli rispose Benozzo.
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Ser Grazia non si perse d’animo e andò lui, insieme ad un servo, l’estate
successiva, a Pisa per parlare con il pittore, ringraziarlo nuovamente e per chiedergli di affrescare
un altro tabernacolo.
“Un altro? Perché” domandò Benozzo.
“Ce n’è uno bellissimo sulla strada Sanminiatese, ce ne manca uno sulla
strada Volterrana, a pochi metri dal Monastero delle Clarisse a Santa Maria alla Marca. Sapete, io amministro
anche quel territorio. Ho molti nemici, mi calunniano, mi invidiano, ma io continuo ad essere generoso
con i bisognosi e ad abbellire il nostro paesaggio. Io preparo la parte muraria, voi, prima che io muoia,
fatemi il secondo gioiello, bello, unico, sempre dedicato a Maria. Deve stupire, obbligare la gente alla
preghiera”.
Così, da novembre 1489 al 12 febbraio 1490 il Maestro Benozzo, aiutato dai figli
Francesco e Alesso e da Giusto, con precisione, maestria, pazienza, crearono un altro capolavoro, una
serie di dipinti raffiguranti la cacciata di Gioacchino dal Tempio, l’Annunciazione, la nascita
di Gesù, la presentazione al Tempio di Maria, l’incontro alla porta aurea fra Gioacchino
e S.Anna. Questi affreschi facevano parte del Tabernacolo della Visitazione e lì vi facevano sosta,
pieni di ammirazione, chi arrivava a Castelfiorentino per la via Volterrana.
Benozzo Gozzoli, vedendo Ser Grazia meno baldanzoso di quando, nel ’84, aveva visto
finito il Tabernacolo della Madonna della Tosse, gli domandò:
“Cosa avete, Ser Grazia, siete giù di corda?”.
“Ho dolori alle ossa e poi…calunnie, calunnie su di me. Prima mi invidiano,
poi mi odiano così. Non vi preoccupate…Anche voi avrete avuto dei nemici, non è vero?”.
“Sì , Ser Grazia. Mi invidiano l’amicizia con Lorenzo de’ Medici,
i lavori che eseguo in continuazione, la fama, ma non ci penso, anzi, vado avanti con più forza,
devono crepare loro dalla rabbia, dall’invidia”.
“Anche nella Chiesa ci sono persone che rovinano tutto. C’è corruzione
e le cose non mi piacciono per niente…Io continuerò ad essere generoso e alla mia morte,
sapete, lascerò ogni mio bene al Convento delle Clarisse di Santa Maria alla Marca. La vostra arte,
caro Maestro, dimostrerà ai posteri cosa ho desiderato. Tutti, poi, vi saranno riconoscenti”.
Il Maestro lo salutò per raggiungere Firenze ed il priore aggiunse: “Restate ancora un po’
Messere, restate”.
FABIO SASSETTI, primo premio “ex aequo” alla prima edizione del Premio letterario “Castelfiorentino”
anno 1999
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